Dimanticanza

L’uomo pareva disorientato: non perché si sentisse perso; sapeva benissimo di essere seduto sulla sua panca preferita, quella color del cielo con le forme cubiche voltate verso nord e sapeva benissimo che era lì perché gli piaceva guardare i profili delle montagne quando l’aria tersa dal vento rende luci ed ombre le rughe della natura.
Ma la coscienza di un desiderio smarrito ed ora riemerso come un essere che si e’ appena guadagnato la superficie per respirare dopo una lunga lotta contro le acque nere, si era da poco impossessata della sua memoria.
La sua mente, infatti, aveva dimenticato il desiderio e aveva anche dimenticato di aver desiderato.
Ora ricordava l’azione obliata e questo lo smarriva!
Dapprima fu immobilizzato nella consapevolezza della mancanza subita; poi fu dilaniato tra il conforto che viene dall’abilità di scordarsi un desiderio e non provare così alcun vuoto di vita, e l’angoscia per una memoria che aveva amputato alle radici la possibilita’ dell’azione volontaria, quella che da’ coscienza della vita stessa.
Se ne stava così seduto con lo sguardo perso dentro agli scherzi della sua memoria e l’occhio fisso nelle rughe della natura chiedendosi se questo fosse Alzheimer, demenza senile o semplice stanchezza e sentendosi un poco più prossimo alla morte, se non fisica, celebrale.
Per la prima volta nella vita ebbe paura della sua solitudine che ora non gli appariva più come un segno di libertà, ma aveva preso le sembianze di una fredda prigione dalle pareti di pietra nuda e dall’unica piccola finestra oltre la quale non si scorge il mondo perché nascosto dietro all’angolo della casa di fronte.
Quel giorno dimenticò di rientrare per pranzo.