L’anima del pianoforte

Lei adorava quelle mani; ormai da lustri viveva per loro. Si erano incontrati anni prima, quando quelle dieci piccole dita l’avevano accarezzata per gioco. Là in fondo nel tempo, esperta com’era di mani, lei aveva capito che quelle dieci ditina sarebbero, un giorno, diventate capaci di dialogare tra loro, creando frasi mai prima ascoltate. Così l’anima del vecchio pianoforte aveva donato a quelle manine il suo suono migliore; giusto per vedere cosa avrebbero fatto. E le manine risposero toccando le sue corde, rapite da quel nuovo mondo di suoni. Le dieci dita crebbero adulte su quei tasti esperti fino a diventare nodose. Insieme divennero leggenda. Poi un giorno ci fu il silenzio. I’anima del pianoforte aspettò e poi ancora aspettò, ma quelle mani rugose non l’accarezzarono più.
Possibile che le amate dita se ne fossero andate dimenticandola? Sì, era possibile! L’uomo dalle mani nodose aveva smarrito il suo pianoforte … o forse, aveva smarrito se stesso!
L’anima del pianoforte si zittì. Semplicemente perse la sua voce.
Fu in quel’attimo che iniziò il suo cammino solitario. Venne, assieme al pianoforte, spedita nei luoghi più remoti della terra per essere suonata dai migliori pianisti del mondo; ma nessuna mano cavava più alcuna frase da quel legno dotato. Divenne un affare mondiale riuscir a far di nuovo parlare il pianoforte smarrito e muto.
Mani spagnole lo toccarono per regalargli il fuoco flamenco, ma nulla.
Mani inglesi giocarono con lui come la pioggia leggera gioca a bagnare i soprabiti, ma nulla.
Mani russe lo gelarono con toni puri e poi lo scaldarono con toni dai colori sgargianti, ma nulla. Mani giapponesi gli regalarono fiori di loto, ma nulla.
Mani americane lo portarono in parata al ritmo di uno swing, ma nulla.
Mani tibetane lo elevarono al suono delle loro campane, ma nulla.
Ormai erano centinaia le dita che in tutto il mondo avevano cercato di far tornare all’anima del pianoforte la voglia di suono … ma nulla.
Il pianoforte venne allora riportato a casa.
La porta fu lasciata aperta in modo che chiunque ne avesse desiderio, potesse poggiare le sue mani su quei tasti zitti.
Molti si sedettero al piano per raccontargli all’orecchio la propria storia. Era bello! Ognuno raccontava di sé a quei tasti e loro ascoltavano muovendosi nel silenzio. Non un suono, di quello che le dita dicevano, mai usciva da lì. Il pianoforte imparò molte cose del genere umano; felicità, tristezza, disincanto, amore, rabbia, tranquillità, gioia, ansia, spensieratezza. Lui esprimeva tutto attraverso il silenzio della propria anima. Grande era la potenza maestosa e rigeneratrice di quel suono muto. Le persone, toccandolo, appresero che il silenzio aveva profondità e leggerezza. Ognuno si alzava da quel seggiolino grande pianista perché era per tutti suonare un piano senza voce. E sentirsi grande faceva bene! Un giorno, poi, al calare del sole, un uomo vecchio si sedette al pianoforte. Prima disse qualcosa alle corde; poi poggiò le mani sulla tastiera. Il pianoforte riconobbe quel tocco all’istante e appena le dita rugose iniziarono a muoversi, la stanza, la casa, la via furono inondate di suoni. Assieme, uomo e strumento, dettero voce a tutto quanto era, per anni, stato espresso in silenzio. Il pianoforte, attraverso le dita nodose, liberò i segreti che tanti esseri umani gli avevano confidato consegnando i propri talenti ai suoi tasti atoni. Il pianoforte esprimeva e l’uomo eseguiva. Fu sinfonia.
La terra, a quel suono, smise per un attimo di girare e si fermò ad ascoltare quel concerto di umanità.
Nessuno mai seppe cosa il vecchio disse al suo pianoforte dopo un così lungo tempo di assenza e prima di tornare a suonare. Ma, si dice in giro che gli abbia sussurrato: “Ti avevo smarrito, mi permetti di ritrovarti?” Pare che, come risposta, l’anima del pianoforte gli saltò in braccio e lo strinse stretto stretto senza mai più lasciarlo.