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La forca

Era un ragazzo corpulento, dal fisico ingombrante, spesso più d’impedimento che d’aiuto, ma lui c’era abituato; così la sua lentezza non era mai stata un problema. Anche il suo cervello assomigliava molto a quel corpo negli aggettivi; lento e grosso riusciva solo a fare ragionamenti semplici. Elementare era la sua vita che veniva e andava a quel campo quotidianamente da una quantità di anni tale da non riuscire più a ricordarne il numero. Era inutile chiedergli l’età perché lui avrebbe risposto: “un poco di lune, signora, altro non so dirvi”. Aveva un sorriso gentile che si accendeva ogni tanto, spesso senza motivo apparente, dietro a chissà quale pensiero. Un giorno, mentre tornava stanco dal campo, fu violentemente fermato da uno sgherro a cavallo che se l’era presa con lui per una faccenda di precedenze dovuta al suo status sociale. Il ragazzone sapeva perfettamente quale fosse l’usanza e sapeva perfettamente quale avrebbe dovuto essere il suo comportamento, ma era stanco, molto stanco, così si innervosì, la sua mente si incendiò ed il suo braccio strattonò tanto forte le redini del cavallo da farlo imbizzarrire. L’uomo a cavallo ruzzolò a terra finendo col capo su una pietra. Morì all’istante. Il contadino lo lasciò li’ steso su quel cuscino di pietra, con il cranio aperto e tutto ritorto. Non voleva ammazzarlo, ma una volta visto morto ebbe un sussulto di orgoglio e reale ribellione e lo lasciò così sul terreno senza usargli le attenzioni che la società avrebbe richiesto in un caso del genere. I corpi dei signori dovevano venir ricomposti, stesi per lungo sul dorso con la spada tra le mani giunte sul petto. La morte era talmente compagna di vita a quei tempi da essere raramente considerata reato. Ma reato fu considerato l’atto irriverente del contadino che non ricompose il corpo dell’arrogante sgherro, morto per l’eccessiva stanchezza di un uomo semplice. Il podestà non dedicò più di cinque minuti del proprio tempo a questo caso ed il ragazzone fu mandato alla forca tra una coscia di pollo e un arrosto farcito.
Lo vennero a prendere una mattina presto e lo trovarono in piedi davanti alla porta della cella intento a guardare un ragno muoversi. Fissando il gruppo di compaesani venuti ad eseguire la sentenza il contadino fece un piccolo cenno col capo in segno di saluto come era d’uso fare verso le persone più anziane, ma appartenenti allo stesso lignaggio. Il gruppetto conosceva bene il ragazzotto perché per anni le loro schiene si erano piegate assieme su quel campo a lato del paese e per anni si erano scambiati gesti gentili, d’aiuto, durante le dure ore sotto al sole cocente oppure esposti al gelido vento. Così venne loro spontaneo, prima di posizionarsi per la processione, circondare lo sfortunato e, a turno, toccargli la spalla guardandolo dritto negli occhi. Un saluto che significava molto di più. E’ in quel momento che la mente semplice del villano comprese il suo reale futuro. Fino ad allora era solamente stata felice per gli abbondanti pasti ricevuti in prigione. In realtà i pasti non erano abbondanti, ma lui non era abituato a consumare cibo quotidianamente. Mangiava quando trovava; così quel povero, ma giornaliero boccone fornito dai suoi carcerieri gli era sembrato un lauto pasto. Il gruppo di uomini iniziò a muoversi in processione. Il ragazzone tentennò perché il suo corpo non aveva risposto all’ordine mentale di camminare. Era come un ammutinamento interno. Il corpo si era paralizzato mentre il cervello avrebbe voluto correre anticipando tutti gli istanti precedenti l’atto finale. Il bisogno di saltare tutto per arrivare là all’ultimo momento di vita e capire cosa ci sarebbe stato dopo gli venne come una spinta istintiva. Era un pensiero importante per la sua mente semplice, ma forse e’ un pensiero comune a ogni condannato che cammina al proprio patibolo indipendentemente da quanto sia abituato a pensare. Lui era dilaniato tra terrore e desiderio; mentre il corpo rifiutava ancora di muoversi, il cuore batteva all’impazzata e il petto si gonfiava vertiginosamente. Fece una fatica immane per obbligarsi a camminare e si sentì stanco, molto più stanco di quando si sdraiava sul giaciglio dopo le lunghe ore al campo. Riuscì solo a pensare che quella forse era paura pura, che si prova raramente nella vita, poi la sua mente si annebbiò mentre le gambe presero a camminare da sole. Le pietre delle case divennero vivide e lui vide l’umidità uscire da esse e mescolarsi al loro color grigio; la terra dei campi cominciò ad ondulare sotto al carico delle spighe d’agosto e lui dovette tenersi forte per non seguirla; i colori dei fiori iniziarono a spandersi oltre i petali quasi a sporcare l’aria satura di calore e lui si perse in quel labile confine. Poi la sua mente non registrò più nulla.