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Maschi puntata 2- Il primo Bacio

Ogni mattina scendeva le scale di legno cercando di non farle scricchiolare, imboccava la porta, percorreva il piccolo giardino, apriva il cancelletto ed era in strada. Ci impiegava circa venti minuti a raggiungere la scuola. I primi dieci erano spesi con il naso all’in su per guardare le forme dei Bow Windows ed il colore dei mattoni, i secondi dieci li percorreva a piedi scalzi, con le scarpe in una mano ed il quaderno nell’altra intenta ad imprimersi nella memoria le forme della natura che da quelle parti era rigogliosa per le piogge e curatissima per i giardinieri. L’ultimo tratto prima dell’edificio vittoriano che ospitava la scuola era un lungo fiume dove un muro in mattoni grigi alto fino alla sua vita impediva di cadere in acqua e lei ci camminava semplicemente a fianco.
È qui che i ragazzi della scuola tergiversavano prima delle lezioni e si dilungavano alla fine della giornata. Qui organizzavano i loro pomeriggi e le loro serate quando la scuola non li impegnava con qualche attività curricolare.
È qui che Lei lo aveva notato il primo giorno, quando tutto è nuovo e tutti sono sconosciuti. Aveva la pelle più scura della sua, capelli neri, occhi marroni e un fare sicuro di sé. Era straniero e così il suo sguardo le appariva ancora più interessante. Le piacque da subito, ma era troppo timida e giovane per ogni altro pensiero.
Si conobbero in classe sulle note di “Another Brick In The Wall” dei Pink Floyd; era stato loro assegnato il compito di ascoltare e trascrivere il testo assieme.
Iniziarono a raccontarsi della rispettiva vita, quella vera a casa nel proprio paese di origine, quella di tutti i giorni, a volte faticosa, a volte bella.
Si parlavano solo in classe perché fuori non era possibile, loro non appartenevano allo stesso gruppo. Lui ragazzo di strada, lei ragazza che la strada non l’aveva mai vista nemmeno da lontano. Però tra loro c’era qualcosa che andava oltre ciò che erano. Attratti fisicamente l’un l’altra, divennero amici. A quindici anni, erano abbastanza grandi da sapere che l’amicizia che nasce dall’attrazione è cosa ben diversa dall’amicizia normale. È una perla in mezzo ai sassi da proteggere e coltivare se non si vuol smarrirla nella massa.
Così ogni giorno, quando riuscivano a rimanere soli si facevano gentilezze reciproche oppure, quando erano in gruppo, si sorridevano da lontano con quello sguardo complice ormai a tutti e due noto.
Venne la sera della festa della scuola, fu una serata memorabile, resa ancora più indimenticabile dalla consapevolezza che nel fine settimana seguente ognuno avrebbe preso l’aereo per tornare a casa propria.
Balli, canti, giochi, baci, abbracci, dediche, indirizzi, promesse a rivedersi; poi la festa finì e venne il tempo di rientrare a casa.
Lui apparve dal nulla e le chiese se poteva accompagnarla a casa, in realtà la traduzione letteraria della sua domanda sarebbe: se poteva “camminarla a casa”, frase che, se ci si pensa bene, è dolce di per sé; lei timidamente acconsentì, felice. Si nascosero agli altri sparendo assieme nel buio lungo il fiume, arrivati al giardino, lei gli disse: “togliti le scarpe”. Lui si tolse le scarpe e poi, con grande garbo, le prese la mano. Come era bello camminare con lui al fianco, a piedi scalzi e mano nella mano. Mai prima, al tocco estraneo, aveva sentito stringersi le budella in quel modo.
Per un poco camminarono silenziosi, poi Lei iniziò a raccontargli tutte le sue sensazioni quando, di giorno, attraversava il giardino e si fermava a guardare i fiori che ora rilucevano alla luce dei lampioni. Lui l’ascoltava sorridendo. Arrivarono ai Bow Windows, si rimisero le scarpe, ma continuarono a tenersi per mano. Fu il turno di Lui a parlare: le raccontò della sua casa incastrata nelle mura romane della città storica dalle cui finestre, non a Bow Window, si vedeva l’oceano ed il sole sorgere. Lei gli rispose che invece dalle sue finestre si vedeva solamente un orribile incrocio ed un parcheggio. Risero di tanta diversità.
Ma ecco il cancelletto. “Io sono arrivata, questa è casa mia.” Ci volle un attimo prima che lui le lasciasse la mano; si girò con tutto il suo corpo verso di Lei guardandola fissa negli occhi e solo allora si staccò da Lei. Quello sguardo la trafisse come fanno le spade. No non era uno sguardo da saluto era uno sguardo d’assalto, ma anche tenerissimo. Lui si avvicinò al suo orecchio bisbigliandole “all’anno prossimo”, poi si scostò un poco e le diede un bacio sulla bocca. Durò un istante ed un’eternità. Nessuno l’aveva mai baciata sulle labbra prima. Era dolce e lieve ed il suo cuore volò a mille. Mai, nella sua vita, aveva vissuto momento più bello di questo.
Il bacio finì, ma non la sensazione di essere al centro dell’universo di lui.
“Ti scrivo quest’inverno, ti va?” “Sì, mi va.”
Lei aprì il cancelletto, percorse il piccolo giardino, imboccò la porta girandosi per un ultimo sorriso e salì le scale di legno cercando di non farle scricchiolare e questa volta ci riuscì perché i suoi piedi non toccavano terra.
Lui le scrisse stupende lettere quell’inverno e continuò a farlo gli inverni seguenti per alcuni anni a venire, poi però, un giorno, come tante altre persone della sua vita, si perse nel passato.

I due cappelli

Era un cappello nato bello; spesso faceva coppia con un soprabito tortora, del quale conosceva intimamente solamente il bavero che sfiorava nelle fredde giornate di vento generando un fascino maschio. Oggi, però, il sole regnava sovrano nel quarto cielo e sulla terra, cosi il soprabito era rimasto a dormire nell’armadio tra giacche e pantaloni mentre lui, invece, respirava aria primaverile, conscio di avere ancora appiccicato addosso un poco del fascino di cui era invernale artefice. Era un cappello capace di molte forme; lo stare per lui significava parola mostrata ed ora si trovava tra le dita dell’uomo, leggermente ricurvo verso il basso quel poco che basta ad indicare la propria immediata dipendenza dall’altrui reazione. Non che fosse in gioco la vita o la morte, ma sicuramente la felicità o la tortura. Questo esprimeva quel suo stare ritto, ma un poco all’ingiù. Aveva di fronte una dolcissima falda di paglia, imbellettata da un nastro verde ed una rosa purpurea che pareva giocare a nascondino con la timidezza. Era fresca e profumata, ancora per nulla sgualcita dalle ore calde della giornata. Aspettava curiosa il prossimo istante, il momento di là da venire, come se in esso vi fosse racchiuso tutto il senso del suo futuro. Per questo pareva sorridere, mentre si abbandonava nelle mani della ragazza. Anche lei stava protesa un poco all’ingiù perché’ anche lei dipendeva da ciò che sarebbe stato. La sua era l’attesa di un’ azione. Aspettava quel unico movimento audace che avrebbe spazzato via la sua reticenza. E fu l’attesa che il cappello colse con i suoi sensi; solo questo lui aspettava. L’uomo baciò la donna. I cappelli caddero a terra rotolando uno sull’altro. E’ cosi’ che nacque la felicità.