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Il Vallecetta

Lei aveva la montagna nei piedi, le si era incastrata nelle dita molti anni fa quando era poco più che bambina. Per anni, d’inverno, quando la coltre di neve copriva prati e rocce, ogni singolo punto di quell’universo bianco aveva lasciato il suo gusto dentro ai movimenti di lei, così oggi quando le capitava di parlare di quei luoghi in realtà lei poteva solo raccontare di quell’ incredibile intesa che muri e dossi avevano creato con il suo corpo. Lei era in grado di sciare ovunque, ma in nessun luogo provava quel senso di appartenenza che sentiva scendendo da queste piste. Aveva provato a passeggiare nei medesimi luoghi in estate, ma la montagna le era molto più estranea. Solo in inverno si incastrava in quel modo con i suoi piedi. Così, oltre al piacere di sciare qui c’era anche l’amore per il luogo. Un amore dato dalla profonda conoscenza che nasce, a sua volta, dalla lunghissima frequentazione. Il suo era un amore familiare; non l’aveva scelto, ci si era trovata dentro e in esso era cresciuta. Quando fu tempo che suo figlio mettesse gli sci ai piedi, lei lo portò a conoscere la montagna. Gliela presentò come i suoi piedi la conoscevano. Non era venire giù elegantemente da un muro, era godere nel scendere dal muro del tremila, proprio quello li’ che chiedeva sì capacità tecnica per non ammazzarsi, ma soprattutto apertura mentale per giocare, poi, con i due larghi dossi che, a fondo discesa, potevano farti volare o fermare. Non era solo scegliere se correre giù lungo l’asperità della Sant’Ambrogio a capofitto o preferire il panettone sorgente della Praimont; era anche sapere in anticipo, solo guardando neve e montagna, quando il panettone sarebbe stato più una pietraia che una pista. Non era solo godersi la parte finale nel bosco della Bimbi al Sole, ma sapere quali curve stringere per far si che fosse la montagna a spingerti lungo l’altopiano invece di dover racchettare e sudare da te. Non era solo scegliere gli Ermellini per evitare i lastroni rapati della Stella Alpina; era anche scegliere le sue morbide forme per il gusto di rendere perfette le curve senza esasperare il lavoro di gambe. Oppure scegliere l’Isabella proprio per intensificare il loro movimento ed affinare il gesto tecnico usando le sue incalzanti cunette. Il bimbo cresceva imitando la madre curva dopo curva, poi anticipando la madre curva dopo curva. Un giorno lui si staccò da lei dicendole ti aspetto giù. Lei lo guardò scendere e capì che la montagna ora era anche dentro ai piedi del figlio. Lo capì perché nei suoi movimenti c’era molto di più che l’armonia del gesto tecnico; c’era disponibilità ad ascoltare la montagna e ad assecondarla per trovare insieme un più profondo piacere. Da quel giorno, la madre seppe che i due si sarebbero frequenti anche da soli. Oggi lei, ferma per una convalescenza, guardava dal basso il ragazzetto scendere le piste con la montagna nei piedi, la perizia negli arti ed un profondo sorriso negli occhi nato da quel connubio perfetto.