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L’Amazzone

Lei era un Amazzone, ma non del tipo vecchio; non era una donna guerriera senza un seno, o con un grande seno, a seconda del significato che si vuole dare alla A. Lei era un’amazzone moderna, nata per colmare di significato il vaso vuoto del gender, categorizzazione dell’umana natura di recente invenzione, scritta a tavolino per sostituire definitivamente l’uomo proletario, quello maschio puzzone e guerriero, con una serie di declinazioni pseudo-femminili più mansuete e rassicuranti per l’establishment, ma devastanti nei confronti della essere umano.  Mentre l’uomo moderno decideva se soccombere a questo destino tracciato oppure mostrare gli attributi e restituire all’umanità e alla civiltà il valore del maschio, lei si era presa per decisione uno dei posti disponibili nel grande paniere del gender. Lo aveva fatto anche per una secondo motivo molto più frivolo: era stufa di dividere i bagni pubblici con la categoria handicap e finire con il farsela nei pantaloni, a causa del wc troppo alto, ogni volta che le scappava pipì e non riusciva a trattenerla fino al bagno di casa. Quindi forse il suo fine ultimo, in fondo, era solo ottenere un gabinetto pubblico dedicato. Quello che è certo è che lei non scelse di divenire un’amazzone, semplicemente le capitò. Lei che adorava il suo essere donna, con quel corpo imperfetto, ma armonioso, e quei sensi oltremodo sensibili, ma altrettanto coriacei, si trovò trasformata in Amazzone. Dovete sapere che prodotto dell’età moderna, oltre al gender e al politically correct è anche il cancro; ma mentre i primi due sono schemi culturali, il terzo è uno stato umano. I primi due sono imposti da fuori, c’è, per ora, ancora un margine di scelta; il terzo avviene, te lo becchi e ci fai i conti senza scelta. Per diventare Amazzone deve venirti un cancro al seno, non un cancrino, che spaventa da morire, ma lascia pochi segni; uno devastante, aggressivo ed esplosivo che impone le sue regole e non gliene frega niente se sei spaventata oppure no. Il cancro al seno sta al divenire Amazzone oggi, come i riti di iniziazione stavano al divenire Uomo tempo fa. È un’iniziazione fatta di avvenimenti sequenziali ai quali devi sopravvivere. Primo: la perdita momentanea dei simboli esterni del tuo essere donna con la caduta dei capelli e l’annerimento delle unghie; serve a destabilizzare tutte le tue sicurezze in relazione a chi sei tu rispetto agli altri. Secondo: la perdita momentanea della dignità del vivere con la disintegrazione fisica che ti annienta sdraiata su un letto; serve a tarare la tua forza di volontà e la tua voglia di vita. Terzo: la perdita definitiva del tuo intimo potenziale di madre con la distruzione del ciclo mestruale; serve ad insegnarti l’accettazione incondizionata dell’imprevisto. Quarto: la perdita definitiva di parte della tua femminilità esteriore con il sacrificio alla vita della mammella, se sei fortunata, delle mammelle, se non lo sei; serve a trasformarti in qualcosa di fisicamente diverso.  Poi però, se passi attraverso a tutto ciò senza perderti nel mondo nero della paura e della rinuncia che porta alla morte diventi, per merito, un’Amazzone e puoi chiedere a gran voce e per diritto, il tuo bagno pubblico dedicato, oltre che mettere la tua stanghettina nella lista gender sotto la voce: tipologia Amazzone. Quale delle due A descrive l’Amazzone moderna iniziata dal cancro? Decisamente non la privativa, ma la rafforzativa. Infatti le Amazzoni di oggi sono dotate di grandi seni primo perché la mutua passa anche la chirurgia estetica ricostruttiva e quindi perché no; secondo perché tale violenta iniziazione non può che presupporre uno stato di profonda trasformazione in senso rafforzativo; non a caso si parla di sopravvivenza a cinque anni, mica di guarigione. Non più, allora, le donne guerriere di un tempo, ma le donne donne donne di oggi; donne periodico se lo vogliamo esprimere in termini matematici. Così, a parte infinocchiare gli strateghi della nuova società occupando un posto destinato a creature più mansuete e gestibili, le Amazzoni vivono, prescelte, lo stato di “conclusione”, o meglio: “di conclusione sommata a tutti i suoi sinonimi come elencati nelle enciclopedie: compimento, deduzione logica, risultato, realizzazione, definizione ”. Vedono ogni declinazione della vita in modo diverso; di essa percepiscono l’aspetto unitario, quello che porta perfezione e bellezza. Un’Amazzone appena nata, magari ancora sdraiata nel letto di un ospedale, vede, per esempio, il mondo maschile che nel corso della sua vita di semplice donna le si è sviluppato attorno tornarle indietro nella sua forma più pura. Sta tutto lì davanti ai suoi occhi; imperfetto come il vivere lo ha reso, ma incontaminato come l’attimo che l’ha generato. Solo l’Amazzone è in grado di percepire, in un istante, la meravigliosa complessità e perfezione di quel mondo estraneo che per anni era parso più ostile che amico; quasi inferiore per capacità dimostrate.  In un istante lo tocca, unico e vario, e sente come ormai superato il suo essere discordante. In un attimo secondo è in grado di vedere risolta in sublime unità ogni particolare singolarità che è stata presente nella sua vita.   C’è l’amore paterno che come un’ombra si stende e protegge, sempre presente, incondizionatamente, un passo indietro, ma mai di spalle. C’è l’amore filiale, tremulo e spaventato, che ancora ha bisogno di vedere per rassicurarsi. C’è il matrimonio spezzato che mostra il vero significato della sua indissolubilità attraverso domande che pretendono per risposte liberatorie rassicurazioni. C’è l’uomo che ti ha guardato negli occhi in mille maniere e si siede silenzioso perché ormai le parole non servono più, c’è ancora l’uomo che sorprende se stesso per un legame che ha scoperto non legare; e c’è l’uomo che non parla parole pericolose, ma che ha scritto nel corpo ogni singola lettera del suo pensiero; c’è l’uomo piantato nel suo volere cui però scappa la curiosità per un poi che non lo annienti e c’è anche l’uomo che in preda al panico nero si aggrappa là dove può, ma non scorda chi sei. Ognuno declinato a suo modo dentro alla propria vita che da Amazzone si accarezza con amore sincero. Singoli tasselli di un mondo estraneo ed affascinante in grado di restituire agli occhi d’amazzone un mosaico di pure armonie che trasformano la carne maschia in euritmico tutto. Capita la ricchezza che questo universo ha portato al suo mondo, l’Amazzone si sporge un poco nel paniere del gender e occupa con il suo piede anche un’altra posizione, lo fa in modo nascosto per non farsi accorgere, ma è ben determinata a non farselo portare via fintanto che l’uomo come lei lo ha visto non verrà a pretenderlo per se medesimo.

Happy Holidays

Happy Holidays, è scritto sulla quasi totalità delle vetrine del centro di Milano, una unica ne ho vista con un timido alberello e la scritta Marry Christmas in rosso. Camminavo per Buenos Aires ed un pensiero cresceva dentro di me. “Occidente senza palle!” Proprio nell’accezione che usano le donne quando lo dicono degli uomini. Quindi limitatamente con il significato di “pauroso”, ma ampliamente nel senso di “coglione incapace di essere uomo” e di “debole essere involuto non degno ” . Pare sia il politically correct che impone parole senza senso e senza storia e vieta parole pregne di ricordi, di atmosfera e di costume in nome del nulla laico. È la scelta di pochi fatta a tavolino con intenti ideologici poi abbracciata e coccolata dal mondo del commercio che spera così di aumentare i propri utili natalizi, ops scusate, holidariani. Alla setta dei nichilisti ideolocizzati, dei politically correct, ed al gregge dei commercianti che temono le parole che portano significati riparando nel niente voglio raccontare una storia.
C’era una volta, poco più di duemila anni fa, una giovane donna di nome Maria cui un giorno, in sogno, fu annunciato l’arrivo di un figlio di progenie divina ed in seguito a quell’annuncio il suo ventre iniziò a crescere. Lei ne conosceva molti di figli degli Dei perché sua mamma per farla dormire da piccola era usa leggerle Omero e le storie antiche. Ma nella sua cultura cose del genere non avvenivano più. Loro aspettavano sì un profeta salvatore, ma poteva mai essere che tutta l’attesa di un popolo si concludesse con il suo bambino? Lei non era che una semplice serva di quel unico Dio ai tempi amato da tutti e ora stava per diventare la madre di suo figlio. Che fare? Decise di fare la volontà del suo Dio e lasciò crescere quel bimbo divino dentro di sè. Andò in contro al suo destino e ne parlò al suo promesso, un falegname di nome Giuseppe. Giuseppe che era uomo buono ed amava molto Maria e pure molto amava Dio decise di accogliere e proteggere il frutto divino che stava crescendo dentro alla pancia di Maria. Era quasi giunto il termine quando venne loro imposto di recarsi a Betlemme per il censimento, così Giuseppe prese Maria, la caricò su un asinello ed assieme lasciarono Nazareth per Betlemme. Tutta la Palestina era in viaggio con loro, chi a nord chi a sud, tutti si stavano spostando. Arrivati a Betlemme non fu possibile trovare un luogo al chiuso per riposare perché erano già tutti occupati. Giuseppe guardò Maria e capì che il tempo era giunto. Si guardarono negli occhi ed ognuno lesse nello sguardo dell’altro lo stesso pensiero; si perché faceva paura diventare i genitori del figlio di Dio, ma loro erano due giovani forti si strinsero la mano e si dissero l’un l’altro: “sì”. Era, però, ora di muoversi, il bimbo arrivava. Giuseppe scorse una grotta poco fuori Betlemme, e vi accompagnò Maria. Vi fece entrare l’asinello ed un bue che pasceva lì intorno per scaldare quella dimora occasionale, ma tanto opportuna. Qui Maria, scaldata dal respiro dell’asinello e del bue, diede alla luce un bellissimo bambino che chiamò Gesù. Giuseppe uscì un attimo per riprendersi da tutte quelle emozioni e non riuscì a credere ai suoi occhi quando vide una quantità infinita di pastorelli venuti a rendere onore al piccolo nato da donna, ma figlio di un Dio. Lo avevano saputo guardando il cielo perché sulla grotta si era appoggiata una stella filante e loro avevano capito all’istante. C’erano anche tre dignitari stranieri vestiti a festa che portavano alcuni regali. Lì di fianco pascolavano tranquilli i loro cammelli mentre i dignitari si presentarono a Giuseppe. Erano Gaspare, Merchiorre e Baldassarre e portavano con sè oro incenso e mirra da donare al figlio di Dio bambino. Giuseppe, toccato da quel popolo di semplici e di re si fece da parte e lascò che le persone entrassero ad adorare il suo piccolo bimbo. Maria guardava quella inaspettata processione e poi abbassava lo sguardo innamorato sul suo bambino. Giuseppe guardava Maria felice dello sguardo di lei. Ad un certo punto un’espressione di profondo dolore velò il viso dell’amata; nessuno lo percepì, ma lui di lei conosceva ogni espressione e la cosa non gli sfuggì. Si chiese cosa mai avesse pensato Maria, ma lei non glielo disse mai. Nessuno sapeva ciò che lei sapeva. Il suo piccolo bimbo era venuto al mondo per imolare se stesso e regalare l’eterno all’intera umanità. Lui sarebbe vissuto solo trentatreanni e lei avrebbe dovuto contare gli anni a ritroso. Sapeva che le era dato di amare a tempo definito. Gli anni andarono ed il destino di quel piccolo bimbo divino si compì assieme a quello di Maria, di Giuseppe e di tutto quel popolo in adorazione. Lui venne crocifisso con le mani inchiodate e Maria dovette vivere la passione del figlio e lo scempio del corpo di lui, poi però visse anche la sua resurrezione. Così l’intera umanità ebbe a disposizione l’eterno. Da allora molta parte del mondo ricorda la nascita di quel bambinello. Lo fa addobbando un abete, creando un presepe, scambiandosi doni, andando alla Messa e scambiandosi auguri con due parole : Buon Natale. Lo fa perché sa che quel giorno di duemila e pochi anni fa al mondo fu fatto un regalo speciale. Il divino si fece umano, l’amore fu messo alla prova ed un bimbo morto poi crocefisso rese la vita eterna regalando all’umanità l’aldilà e la libertà di scegliere. E che la storia che vi ho raccontato appartenga alla realta’, alla religione oppure alla legenda non interessa. Interessa solo sapere di avere a disposizione l’infinito e poterlo festeggiare.
Sapete cos’è il niente in nome del quale sono imposte due parole senza senso? E’ solo un altro modo di percepire l’eterno.