Togliersi

Ricordo quando, bambina, ascoltavo le storie del nonno e della nonna sui tempi di guerra. Il nonno raccontava il suo essere soldato. Il generale della sua brigata gli aveva affidato la cura del proprio cavallo personale, Tom, forse perché il nonno era di animo gentile. La sua guerra fu spesa nel cercare di tenere in vita il cavallo del generale sempre e comunque ed il cavallo sopravvisse le battaglie e così il nonno la guerra.
La nonna, invece, raccontava la sua guerra fatta di bombardamenti e rifugi, di quando le sirene suonavano e lei si legava addosso le sue piccolissime bimbe e si lanciava nel primo rifugio che trovava e li aspettava sperando in cuor suo che quella cantina non divenisse anche la loro tomba.
Le loro storie avevano il sapore di un’avventura spaventosa alle mie orecchie; io non riuscivo a cogliere il lato tragico del pericolo e della morte, perché erano storie raccontate dai nonni ed i nonni portavano solo felicità nel mio mondo bambino e …. qualche storia che faceva paura.
Quello che mi impressionava però era la dimensione mondiale di quelle paurose avventure perché i nonni mi dicevano che tutto il mondo era messo a ferro e fuoco dalle bombe e dall’odio della guerra e che tutte le persone cercavano di sopravvivere come potevano.
La globalità io non l’ho imparata a scuola, l’ho appresa, ben prima, dai racconti dei nonni e da allora per me la parola “mondiale” ha sempre avuto una declinazione oscura, legata a quelle avventure paurose; di mondiale nella mia testa per molto tempo c’è stata solo la guerra.
Poi sono cresciuta ed il mondo ha perso i connotati della favola ed è diventato reale, e nel passaggio da fantasia a realtà si è trasformato nel luogo ove i piedi poggiano. La mia attenzione era riposta in altro, la vita era altrove totalmente slegata dalla dimensione della paura e della resistenza.
Ma ecco che la parola mondiale torna nel giro di poche ore a legarsi a un estensione spaziale ed ad un’avventura comune, di nuovo una lotta non più tra uomini, ma dell’essere umano.
Oggi il senso del pericolo e della morte è ben chiaro ai miei sensi adulti mentre io scandaglio i fatti attuali con il significato della parola mondiale compreso nei racconti dei miei nonni ancora presenti nella mia memoria.
Il mondo gioca in difesa e resta a casa. Mi colpisce l’idea che mondiale sia l’azione del togliersi, non tanto come contrasto al virus, che è territorio medico, ma come azione comune e contemporanea. Stiamo tutti agendo nel medesimo modo con il medesimo fine. Un restare a casa ordinato, silenzioso, gioioso nelle sue manifestazioni comuni di supporto reciproco. Un togliersi che non ha bandiere e che rimane uguale sia nel totalitarismo che nella democrazia. Un togliersi che appartiene a ogni luogo della terra.
Un’azione che viene dalla paura forse, ma che ha reso per la prima volta nella storia l’essere umano un unico organismo agente.
L’abbiamo raggiunta sul serio la globalità.
I particolarismi, i nazionalismi, ma anche le organizzazioni sovranazionali sono un passo indietro rispetto al io resto a casa.
È una globalità di specie come probabilmente la si percepirebbe guardando la terra da un altro punto dello spazio.
Mondiale ha assunto una valenza inedita.
C’è una nuova civiltà in esso compresa.
Chissà se l’essere umano ne saprà cogliere l’aspetto positivo della completa comunione o ne sfrutterà quello negativo della incondizionata comune reazione?
Chissà cosa ne penserebbero i miei nonni?