L’Orco e la chevrolet

Mi capitò, sognando, di essere di nuovo in compagnia dell’orco che inciampando in se stesso mi ruzzolò addosso; quello che poi incominciò a tirar sassi obbligandomi a scansarmi per non morire, or bene questa creatura non certo ordinaria si prese la mia Chevrolet.
Ridendo mi disse di raggiungerlo fuori città; così avrei potuto passare del tempo con lui e recuperare quanto era mio. Ma il luogo era lontano ed io ero priva di un mezzo. Sapevo che avrei dovuto affrontare un viaggio. Allora guardai giù dal balcone di casa e vidi che un autobus era in partenza. Chiesi dove fosse diretto, ma la sua meta non era la mia. Non ci salii per non allontanarmi ancora di più da quell’orco pericoloso, ma in fondo a me caro. Come, però, succede nei sogni pur non salendo sul mezzo, io c’ero. Il vecchio autobus si mise in marcia ed il suo grasso autista si concentrò sulla strada. Doveva aver piovuto perché più che una strada pareva un fiume. L’acqua saliva, saliva, saliva fintanto che non fummo completamente immersi nel buio freddo. Io pensavo che quel grassone tutti li avrebbe affogati; ma all’apparenza ero l’unica a preoccuparsi. L’autobus scendeva e nessuno gridava. Poi d’un tratto i motori zittirono ed il grassone parlò: “ se non si riaccende il maledetto, questa volta siam fritti”. Dal nulla spuntò il suo socio. Un uomo mingherlo e triste che pareva fatto di carta. Lui armeggiò assieme al grassone, ma quel vecchio autobus continuava imperterrito la sua silenziosa discesa nel buio bagnato. Poi, come d’incanto, atterrò sul fondo del mare e come le gomme toccarono terra il motore da solo tornò a funzionare. Il grassone ed il mingherlo si rilassarono. Io pensavo tra me: “Qui muoiono tutti, non appena finisce l’ossigenò.” Girandomi vidi che i passeggeri erano tutti piccoli bimbi. Tantissimi popi che in gita parevano andare. Erano chiassosi e felici. E soprattutto non si curavano di percorrere una strada in fondo al mare.
Ma il grassone ed il mingherlo sapevano cosa facevano. Non erano nuovi a quel viaggio. Questo io l’avevo capito. Il paesaggio sotto a quel mare era un paesaggio di guerra. C’erano carcasse ovunque ed il silenzio nascondeva pericolo. Io pregai l’autobus di non fermarsi, ma non fu così; l’autobus si fermò ed il suo prezioso carico scese a sgranchirsi le gambe. I bimbi respiravano in acqua ed anch’io respiravo. L’autista ed il suo socio non badavano ai piccoli ed io ero in pena per paura di dimenticarne qualcuno in quel luogo ambiguo. Poi ripartimmo e di nuovo ci fermammo. Questa volta fu l’odore intenso a stupirmi. Quello era un odore che addormentava e poi trasformava in creature mostruose. Io riacchiappai ogni singolo bimbo prima che respirasse quell’aria malsana e prima che il grassone ripartisse senza preoccuparsi di nulla. Passando vedevo quel paesaggio fatto di ruderi e di creature stranissime sperando che l’autobus non più si fermasse. Pensavo anche all’orco senza capire perché avesse voluto la mia Chevrolet e mi avesse obbligato a quel viaggio raro. I bimbi eran per ora salvi, seduti tranquilli ai loro posti e l’autobus mai più si fermò. Il viaggio terminò alla stazione dei treni. Il mare come era arrivato era svanito. Il mare, ora sapevo, era semplicemente una scorciatoia. Lì un treno avrebbe dovuto portare me ed i bimbi dall’orco, ma non c’era tempo perché il treno arrivava. Correndo attraversammo i binari dove qualcuno per primo era corso a fermare il treno. Ma arrivò qualcun altro sull’altro lato urlando che avevamo sbagliato perché le porte di là si sarebbero aperte. Non credo presi quel treno; non so cosa successe ai bambini e, di sicuro, non arrivai dall’orco. Pare non mi sia dato di passare del tempo con lui e recuperare la Chevrolet!