Una visita improvvisata

È tempo ormai che non passo di fianco ai miei amici orchi. ¿Chissà come stanno? La loro ingombrante presenza devo dire che a volte mi manca. Così ier’ sera l’altro son passata a salutarli, essendo per caso molto vicina al loro Nuraghe. Queste le nuove che ho scoperto: l’orco che sapeva suonare, quello che per primo mi schiacciò un piede …. nessuno sa più dov’ è. È sfumato chissà dove, forse seppellito sotto un cumulo di terra in attesa di tempi migliori. ¡ Che strampalata abitudine è questa degli orchi!

L’orco che spinge via il sole per stare al suo posto è invece tanto invecchiato. Borbotta e sbuffa come una ciminiera ormai zittita da chili di fuliggine che le pesano addosso. Lui però non è annerito dalla materia polverizzata, lui è reso nero da una serie di bitorzoli che gli esplodono sulla pelle ogni volta che sbuffa le sue parole rimpicciolite.  Se ne sta là, seduto sulla sdraio sbiadita che si porta appresso senza nulla badare di ciò che accade dentro al Nuraghe. Ve l’ho detto, è ormai vecchio!

Lasciato il vecchio, la mia attenzione è stata presa da una grande bocca aperta che mi veniva incontro quasi correndo. Ricordate l’orco al quale ho estratto il rospo sporcandomi tutta, bene era lui che, con grande entusiasmo, voleva farmi vedere le sue fauci pulite. Era felice per qualche sua particolare ragione, così chiuse la bocca mi prese per mano e mi disse:  ”Vieni con me ora posso farti vedere il mio segreto” mi strattonò il braccio tirandomi su per le scale di quell’antro umido e, quando io incespicai sui gradini, mi sollevò spazientito, mi lanciò sulla sua spalla e là mi tenne finché non mi depositò , scaraventandomi, sopra una specie di alzaia nuragica. Poi si fece piccolo, come può farsi piccolo un orco, mi porse uno straccio e mi disse: “ … Ecco questa è la mia pietra, viene da un altro mondo, io l’ho raccolta quando lei è caduta dritta nelle mie mani. Scottava sai?” aprì lo straccio e mi mostrò un sasso nero che a me nulla diceva, ma lui lo guardava come si guarda un tesoro e io non riuscii a far altro che sorridergli intenerita. L’orco scambiò il sorriso per un gesto di sfida, così si lanciò sulla pietra come a proteggerla, quasi sbalzandomi giù dall’alzaia, si incurvò tutto, ma con la coda dell’occhio vide che stavo cadendo, allora allungò il braccio, mi acchiappò senza guardarmi e mi rimise in piedi, poi se ne andò portando la pietra chiusa tra le sue mani con il corpo gnoccoso tutto incurvato in una specie di abbraccio con al centro il masso. Mi diede le spalle e sparì. Rimasi lì in cima al nuraghe e guardai giù, perché ora toccava a me scender sola da quella torre. Qualcosa si mosse in quei muri possenti; un masso si srotolò aprendosi come un calice, mi immobilizzai dallo spavento, poi ricordai che ero in casa degli orchi ed un masso srotolato non poteva farmi paura se mi muovevo in mezzo a quegli esseroni goffi. Così mi sedetti a guardare e la pietra srotolata si alzò e si scrollò la terra di dosso ed io feci così conoscenza con un giovane orco che non appena mi vide si pietrificò nuovamente guardandomi sbalordito, chissà poi perché! Allora io tirai fuori una nespola dalla mia tasca, perché ormai conosco bene questi esseri e mai mi avvicinerei a loro senza nespole nelle tasche, ed iniziai a far ballare il frutto sotto al naso dell’orco che iniziò a muoverlo di qui e di là finché non fece un grande starnuto e si spietrificò iniziando a seguire col corpo la nespola che gli ballava davanti agli occhi. Sembrava una danza quel dondolio spinto dalla voglia di nespola, così iniziai a muovermi anch’io, ma in senso contrario all’orco, la cosa lo divertì tanto che perse interesse per la nespola e lo prese per me. In un balzo mi ritrovai tra le sue braccia e in un secondo balzo mi ritrovai giù nel cortile del Nuraghe; lui aveva saltato ed io non dovevo più preoccuparmi di come tornare giù. Ora dovevo solo fargli capire che non ero un pasto, ma un essere da non mangiare. Ci pensò l’orco poco prima sparito che riapparso chissà da dove, gli tirò un pestone sul dorso costringendolo a lasciarmi andare, poi mi girò intorno ed iniziò a grattarmi la testa, questo nel linguaggio degli orchi significa che sono indigesta ed è meglio non assaggiarmi; il giovane orco allora perse interesse e se ne andò. L’orco poco prima sparito mi strizzò l’occhio, cacciò la sua mano nella mia tasca e si servì di tutte le nespole, poi preso da chissà quale moto orcoso sputacchiò l’ultimo pezzo di nespola e me la regalò. Io lo ringraziai, lanciai nella mia bocca la nespola sputata e me ne andai. Alla prossima amici orchi!