Venezia

Venezia, a volte, scivola sul pavimento di pioggia che ha dimenticato di cadere dall’alto e scompare alla vista mentre piccole gocce bagnate svaporano in coriandoli bianchi le pietre ed i merletti da secoli sponde delle sue acque salmastre. Un silenzio fermo, rigido, grigio e bagnato racchiude i colori delle non lontane stanze satolle di legni dorati e poltrone di stoffa. Quando la nebbia scende ad abbracciare le acque ruba la voce della città e poi, non sazia, trasforma le forme in ombre che i lampioni tingono di bianco o di giallo. Se ti trovi per caso a camminare dentro a quel tripudio scolorito e monotono ove solo la memoria dà un volto alla vita, capisci perché questa è la città delle maschere. Non i colori, non le espressioni, ma solo i contorni restituiscono il senso quando i palazzi chiudono l’uscio per lasciare alla laguna e alla nebbia l’intimità di partorire nuove geometrie alla città. Ma tu sai che nel nulla la vita esiste sui suoi canali e sulle sue fondamenta e sai che il tuo piede sta sfiorando quel manto bagnato che, come un tappeto persiano, copre le calli e allora cammini dentro alla città che non c’è lasciando che la fantasia affianchi il tuo piede a dar forma a ciò che la nebbia di laguna ha portato via con sé e non vuol restituire. E così è carnevale anche se sei a capo dell’anno….