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La ruspa

C’e’ atmosfera strana agli incroci di Milano, sarà forse il caldo. Ricordate l’uomo inchinato al sorriso di lei? Bene, oggi nuovo incrocio, stesso sorriso, nuovo inchino. Questa volta, però, non umano, ma di macchina. Ad inchinarsi e’ stata infatti una ruspa gigante che chissà cosa ci faceva in quel posto. La donna stava semplicemente aspettando il suo turno ad attraversare quando, per caso, guardò il grosso mezzo di cantiere arrivare e contemporaneamente pensò che era alquanto bello. Quella macchina infernale si portava addosso il lavoro degli esseri umani reso palese dai quintali di polvere appiccicata. Lei la conosceva bene quella polvere ed aveva imparato a rispettarla. Credo che il pensiero di lei in qualche modo si rese palese all’uomo che, in canottiera bianca, guidava il mostro fuori luogo. Più lei pensava, più lui rallentava fintanto che non si parò completamente fermo davanti a lei e la pala scese. L’aggeggio infernale si appropriò dell’incrocio con la sua massa immane scatenando l’invidia di ogni altro mezzo per l’audacia mostrata, infatti a quel punto, l’incrocio suonò sulle note dei claxon impazziti e fu il disastro. Il bolide polveroso, completato il suo inchino, ripartì liberando il verde al passaggio degli altri mezzi montati a furia come la panna si monta a neve. Al suo turno lei attraversò ridendo a gran voce. Era la prima volta che la forza del suo pensiero riusciva a fermare ed inchinare una ruspa facendo impazzire un incrocio. Potrebbe essere finita qui, ma poiché gli attraversamenti ancora non erano completati, mancava infatti l’altro lato, come potrebbe finire ora la storia? La donna aspettando di nuovo il suo turno ad attraversare notò sull’altra sponda un piccolo essere umano, era tanto grande quanto piccolo. Una vecchina incurvata e rugosa stava a sua volta avvicinandosi all’incrocio. Era così vecchia, così incurvata, così delicata che uno zuffolo se la sarebbe potuta portare via. Il suo passo era lento, che più lento non si può; faceva venire voglia di camminare al suo posto. Faceva anche venire voglia di correre a ben pensare. La sua, però, non era una lentezza di malattia; era una lentezza di storia. Quella donna si portava addosso tutta la sua vita incastrata tra le rughe e piegata dalla gobba. Era bellissima e nobile. Al verde le due donne si misero a camminare, ma alla vecchina ci volle un tempo infinito per attraversare e un passaggio di verde non fu sufficiente. La donna giovane, creatrice di inchini, capì e si fermò a metà incrocio solo per guardare la vecchina andare. Penso pensasse a che vita piena doveva aver avuto per camminare così lentamente, penso pensasse che solo chi sa appagare se stesso dei frutti del mondo avrebbe, in vecchiaia, camminato in tal modo. Intanto la vecchina avanzava con quel passo corto, lieve ed incurvato che a tratti sembrava un trotto fermo e la giovane, produci inchini, sempre ferma a metà sulle strisce … Verde, poi rosso! Ed accadde di nuovo! Il traffico si ingelosì di quelle due donne beate ed impazzì. Credo non riuscisse a reggere l’idea della lentezza che esprime pienezza di vita. In strada questa mattina probabilmente c’era un traffico scarno e rinsecchito. Ancora l’incrocio risuonò del concerto di claxon. Ma sapete il bello? La vecchina non li sentì perché era anche un poco sorda e nemmeno la giovane donna ci fece caso così intenta a rimirare l’età di vecchiaia. La vecchina arrivò di la e la giovane di qua e l’incrocio tornò al suo ritmo normale contando due concerti in più di claxon. Ho scoperto che è un incrocio Allegro vivace.