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Meduse e gamberetti

L’acqua non era il suo ambiente, ma quella distesa di meduse e gamberetti, sparsa nel verde di laguna, aveva un tale richiamo su di Lei che semplicemente si trovò a scendere i gradini di legno e ad immergersi con la delicatezza che i suoi cinquant’anni ancora le permettevano. Si muoveva lentamente, solo i minimi gesti necessari a non annegare per non disturbare quell’andare di pesci. Le meduse si spostarono il tanto che basta per farle spazio e poi si ridistribuirono come se lei facesse parte di quelle acque da tempo. Non la temevano, non la attaccavano. I gamberetti, ancora di color nero, perché vivi e crudi, parevano pensarla come le meduse e semplicemente si aggiustarono un poco. Così lei trovò il suo posto in quel popolo di gelatina e baffi neri. Con la bocca a filo delle acque baciate dai raggi del sole di tramonto ed i capelli infuocati dai medesimi lampi, alzò i palmi verso la luce, ma sotto al limite liquido ed aspettò. Le meduse presero a passare sopra quelle mani rivolte alla luce e vi si adagiarono dentro forse a provare la stasi in palmo umano o forse senza nemmeno sapere il perché. Lei chiudendo le dita riusciva a toccare il dorso degli animali; e, ad ogni tocco, l’animale reagiva muovendo tutti i tentacoli fino a sfiorarla. Era un poco come se un essere fosse lo strumento musicale dell’altro. Mentre questa musica di corpi avveniva altre meduse e gamberetti la sfioravano ovunque nel corpo, come ad assaggiarla, per poi continuare nel loro moto subacqueo. Lei perse il senso del tempo dentro a quel concerto bagnato, gelatinoso e lucente. Tornò a se stessa quando il sole aveva ormai perso i suoi raggi e le acque si erano fatte nere e scure. Lasciò gli animali alle loro faccende notturne ed uscì dall’acqua. Pura vida.