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Porto e motore

C’è un tipo d’uomo che fa razza a sé anche in questo mondo ugualitario. E’ l’uomo del porto. La sua presenza è confermata da un certo qual disordine nelle dinette dei cabinati ormeggiati che spesso allunga i suoi tentacoli ai pozzetti e alle tughe. Un disordine capace di durare mesi e mesi; normalmente da Maggio ad Ottobre. Sì perché questo è il periodo della manutenzione che per l’uomo del porto è sinonimo al periodo dell’accoppiamento per gli animali. Lui non lascia mai l’amata, ma ci armeggia sopra in questa danza amorosa che è la sua manutenzione. Tutto viene smontato, pulito e rimontato. L’amata è così rivoltata da capo a coda senza mai lasciare l’approdo. Fondamentale affinchè la manutenzione porti i suoi frutti è che l’amata non molli mai gli ormeggi accada ciò che accada. Orbene questo tipo d’uomo ha la capacità di scomparire nella pancia della barca a tal punto che il porto pare deserto anche quando in realtà è affollatissimo. Questo tipo d’uomo abita il porto ritirandosi dal resto della propria vita non si sa se perché abbia vita brutta oppure carattere marinaio. Accade di incontrare gli individui di questa razza da Sabrina, normalmente al calar del sole, quando hanno l’abitudine di riunirsi a bere un calice di rosso e raccontarsi le imprese del giorno sotto coperta. E’ un mondo maschile fatto di pelli cotte dal sole e carni consumate dal tempo, ove di femminile c’è solo il nome delle imbarcazioni. Sono abili marinai che hanno perso interesse per l’immensità e preferiscono il mondo chiuso dal fasciame dell’opera morta intervallato da pause al sapore di calice rosso barbera in terra ferma. E una razza nascosta al mondo. Lei era di tutta altra pasta. Cittadina per nascita, sbarazzina per crescita, zuccona per segno, anni prima aveva preso la patente nautica senza avere idea di come si portasse una barca a motore, un esame tra molti altri. Poiché era bellina e soprattutto giovane, l’ufficiale della marina aveva chiuso la prova con queste parole: “ Signorina, io la promuovo, ma lei mi deve promettere che mai uscirà sola su una barca a motore”. Lei pensò: “Vorrei vedere te gestire l’effetto evolutivo dell’elica senza aver mai toccato un timone prima e per di più sotto esame”, però rispose: “ Prometto.” Quel fatto divertente da raccontare, però lasciò un profondo segno nel suo animo e lei per anni mai osò rendersi indipendente, lasciando ad altri la responsabilità delle manovre, profondamente infastidita con se stessa per questa debolezza di carattere. Per anni fino a quel giorno. Quel sabato di inizio stagione, a porto disabitato, lei saltò sulla sua barca, accese il motore, organizzò le cime di ormeggio per riuscire nella manovra di ritorno, si portò la trappa a poppa e, una volta pronta, lasciò gli ormeggi ed uscì, sola, dal porto. Si fece un giro per capire come il motore reagiva all’onda e al vento che soffiava da nord. Poi rientrò in porto, ma in manovra sbagliò a calcolare la spinta del vento e la potenza del motore e la barca si abbatté sulle trappe e le ci volle sangue freddo per uscire dalle trappe e dalle prue delle imbarcazioni ormeggiate. Uscì di nuovo e ripeté la manovra, questa volta la manovra riuscì, ma entrando nel posto barca ancora il vento la spinse sul natante a fianco. “Ancora” si disse. Uscì di nuovo e rientrò, questa volta ormeggio perfetto. Fissò una cima di poppa per non far spostare troppo lo scafo, recuperò la trappa, raddrizzò la barca che un poco si era abbattuta perché il posto a fianco era vuoto, e fissò la trappa, poi con calma mise a nanna la barca ultimando l’ormeggio. Saltando sul pontile aveva un sorriso che partiva dal viso, ma arrivava dritto all’orgoglio. Fu allora che pensò: “Meno male che il porto è vuoto, ché la flipperata tra prue e trappe non è stata proprio elegante.” Ma aveva dimenticato l’uomo del porto, invisibile, ma sempre presente. Non più tardi di due ore il gruppo dei manutentori fece capolino sulla banchina e l’approcciò: “Ehi capitano, non pensavamo ce la facessi, sei stata brava prima, vieni a bere con noi?” Come dire di no! L’uomo del porto le aveva aperto la porta. Alzò il boccale nel brindisi che sanciva il suo ingresso tra quella razza randagia, ma il suo occhio viaggiò lungo nel tempo fino a quel giorno in un altro porto e lì fece l’occhiolino al militare che non aveva creduto in lei. Poi trangugiò il vino come si addice a un uomo di porto.