Univeristà

Era stata colpa delle iniziali dei loro cognomi. Tutte stavano in fondo all’alfabeto. Quella fu la causa del loro incontro; non fu la passione ad unirli, non la scelta universitaria; semplicemente due S e una V.
In mezzo a quattromila matricole, loro tre si erano seduti uno a fianco all’altro in quell’aula ai pre corsi di matematica. Lei in mezzo e loro due uno di qui e uno di là. Mentre la lavagna si riempiva di numeri per rendere semplice qualcosa che per le loro menti creative semplice non era, si erano piaciuti non solo come persone; avevano capito di essere simili per passioni e scelte.
Attrazione fatale quando hai diciannove anni.
Ogni mattina arrivati in aula si cercavano con gli occhi; il primo teneva il posto per gli altri per evitare di dover seguire la lezione seduti sulle scale o peggio in fondo in piedi. Ogni mattina i loro occhi si agganciavano, loro si salutavano, si sedevano fianco a fianco e tutto iniziava.
Venne il momento della scelta delle materie perché ai tempi in università ancora libero arbitrio e autonomia personale erano sovrani; così, a parte matematica dove per lettera del cognome ti veniva assegnato il professore, tutti gli altri esami erano liberi. Sette erano i corsi da seguire; sette le scelte da fare.
Per loro quasi non fu necessario mettersi d’accordo su quali corsi e con quali professori intrattenersi durante il primo anno; tutti e tre scelsero in autonomia praticamente le stesse lezioni.
Erano diventati compagni di studio.
Da allora per i successivi cinque anni si aiutarono in ogni modo possibile per portare a termine i vari progetti assegnati e passare gli esami.
Non rimasero in tre a lungo perché durante la prima lezione del corso di storia dell’architettura, davanti a lei si sedette un ragazzo basso e bruno; lei lo chiamò oppure lui si girò autonomamente, questo è perso nella memoria, ma da tre divennero definitivamente quattro due S una V e una C.
Furono anni divertenti, faticosi ed appassionati. Il ricordo di alcune giornate e soprattutto nottate di studio rimane impresso nella memoria. Nel pensionato dove le ragazze non erano ammesse oltre una certa ora, ma lei ci passò con loro notti intere per finire di disegnare; a casa ad Abbiategrasso dove la mamma, a fine giornata, cucinava la carne impanata più buona del mondo e la vita era bella; in giro per le città a rilevare chissà che cosa per conto dei professori sotto al sole cocente o la pioggia cadente; infine in Spagna dove assieme o in staffetta si formarono professionalmente. Arrivarono tutti alla laurea; tutti dottori in Architettura e poi Architetti.
Persona e sostantivo iniziarono a coincidere.
Quella divenne la loro vita.
Questo succedeva trentasei anni fa, ma dentro di loro è successo solo ieri. In questa giornata lunga quasi quarant’anni la vita è scorsa portando figli, gioie, soddisfazioni, dolori e difficoltà. Alcuni di loro rimasero presenti uno nella vita dell’altro, altri no si persero nei propri affanni, ma non importa perché in fondo è passato solo un giorno. Ora come allora loro ci sono uno per l’altro qualsiasi cosa il futuro riservi.