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Gravità

Avete presente la mattina, quando si sogna? Capita, a volte, di ritrovarsi nel cervello un pensiero al posto di un’immagine; il torpore del sonno si scosta e lascia intravvedete il barlume di intelligenza che sta dentro alle idee e, allora, tocca svegliarsi quei pochi secondi necessari a sostenere il concetto per poi ricadere nel sonno di nuovo e di nuovo sentire il barlume dietro al pensare far capolino e poi risprofondare e ancora e ancora in tondo finche’ tutto è formato e manca solo lo scrivere.
Ecco questo è successo alcune mattine fa. Pensavo di godermi un bel sogno, ma invece una domanda ha stracciato i veli del mio sognare: “Ma perché i fisici sono andati in cerca della semplicità e della supersimmetria nelle teorie sulla materia e l’universo?” Perché hanno cercato ancora un’unica grande legge che potesse riportare la gravità a camminare a braccetto con l’elettromagnetismo, l’interazione forte e quella debole? Perché la regola deve sempre essere una, semplice e simmetrica? Perché cercare un ordine, là dove l’espressione è solo una probabilità? Perché ricercare la totalità quando l’esperimento mostra invece l’esclusione? Allora ho pensato che forse l’osservatore non solo partecipa alla determinazione dell’oggetto attraverso lo strumento di rilevazione e la scrittura della funzione di probabilità; forse lui ne determina anche l’essenza attraverso il proprio sistema di pensiero. Ho pensato che, per quanto noi possiamo produrre quasi infinite riflessioni, ogni studio nasce dalla nostra mente che, se pur brillante, forse fisiologicamente o culturalmente struttura idee, osservazioni e quant’altro in modo sempre uguale. Il contenuto è diverso, ma la scatola è la stessa. E quella scatola, non so per quale motivo, ha bisogno di ricercare ordine, semplicità e simmetria per essere soddisfatta del suo pensare. Forse non è la materia a soggiacere alle leggi della bellezza; forse lo è il nostro cervello. Allora mi è venuto da pensare a cosa succederebbe se io nella mia vita invece di vivere secondo il principio che più una cosa è semplice più è vera e bella, vivessi con il principio opposto che bellezza e verità risiedano la dove non esiste ordine, simmetria o legge, ma disordine, abbondanza e libertà. Mi sono anche chiesta come cambierebbero teoria della relatività generale, della relatività ristretta, teoria delle stringhe se ci fossero menti che riuscissero ad andare oltre alla propria struttura del pensare quando stabiliscono i risultati delle proprie osservazioni e delle proprie ricerche. Poi credo di essere sprofondata nuovamente in un sonno profondo privo di sogni che ha placato ogni mia domanda.

Rococò

Ormai era tardo pomeriggio e ancora ne mancava uno… che noia l’ultimo appuntamento della giornata … e poi c’era pure la questione dell’auto che si era rotta e così le sarebbero toccati i mezzi, grazie a dio non in sciopero quel venerdì. Doveva prendere a sinistra come se da Bormio si volesse andare a Santa Caterina Valfurva. Mi spiace, ma ve lo posso spiegare solo in questo modo. Ecco il bus! ….’sta storia di tenere la sinistra non è che la convincesse molto, ma era arrivata fino a lì e adesso doveva semplicemente ballare o meglio, sedersi, tenendo la città alle spalle, l’appuntamento di fronte, il grande bosco fatto di sequoie alte ed affusolate ai lati e la folla di gente così diversa da lei intorno, seduta nel autobus.
La fermata brusca scosse i suoi pensieri, che erano stati molti visto che il bus era arrivato al capolinea. Raccolse le sue cose ed uscì assieme agli ultimi passeggeri.
Ormai all’imbrunire imboccò il sentiero, l’unico che partisse da quella piazza di periferia. Lo prese pensando a come caspita sarebbe poi tornata a casa data l’ora, il luogo e la mancanza di un’auto.
Certo, però, che quel posto era mozzafiato se pur attiguo alla metropoli!
Il sentiero si inoltrava in un bosco di un verde lussureggiante pieno di felci giganti e fusti dalla corteccia sfilacciata color marrone tendente allo splendore della giovinezza così alti da lasciare i raggi di luce colpire le felci sottostanti che le parevano calzini alle loro radici.
Per un lungo tratto camminò da sola immersa a metà nell’abbondanza della natura ed a metà tra i rivoli dei suoi pensieri. Poi con sorpresa si imbatté in tre volti noti che la lunga frequentazione, più che l’affinità di cuore, aveva reso suoi amici. Un incontro dal sapore del sogno, ma che era concreto come i sassi sotto alle sue suole. La prima cosa che pensò al vederli è che uno di loro avrebbe sicuramente avuto una macchina per riportarla a casa una volta concluso l’impegno; perché anche loro, a quanto pareva, stavano andando esattamente dove era diretta lei. Coincidenza anche questa da sogno, ma comunque reale sempre quanto i sassi che continuava a sentire sotto ai piedi attraverso le suole troppo sottili. Così si incamminarono assieme, per tratti parlando, per tratti in solitudine. Lei si trovava un po’ indietro quando il bosco lasciò il posto ad una vallata chiusa da montagne fatte di sasso e non di terra che assomigliavano alle Dolomiti, ma senza le punte, troncate tutte più o meno alla stessa altezza da millenni di vento.
Ombrose e lucenti.
Per quanto fosse stato sorprendente il tragitto e le montagne, essi non erano nulla rispetto a ciò che si trovò di fronte appena girata la testa e fatto il primo passo tra le stradine del paesotto all’imbocco della valle. Un’enorme testa di cavallo scolpita a mezzo busto nella pietra e posta a doccione di un muro possente attirò la sua attenzione. La testa non era sola; il paese pullulava di giganti di pietra che si snodavano dai muri delle case o si ergevano dalle acque delle fontane o dall’erba verde del grande giardino fuori le mura. A guardare bene c’erano più statue che cristiani in quella vallata.
I suoi occhi non avevano mai visto nulla simile a quel luogo dal sapore fresco e gentile nella pietra e nella carne.
La parola Rococò le riempì la mente, ci pensò un attimo e si disse: “Sono finita nel Rococò!” e poi ancora: “Beh non capita spesso, tanto vale farci un giro ….”
Dimentica dell’appuntamento iniziò a vagare seguendo ciò che attirava il suo occhio come un pedone si muove sulla scacchiera obbligato dalla mano del giocatore. Una cattedrale senza vetrate, alta, dalle mille nervature ed aperta sui quattro lati dove il verde dei giardini circostanti pareva sostituirne le murature perimetrali faceva da sfondo al paese. Poi, oltre, un’infinità di fontane abitate da giganti umani ed equini che nascondevano la pesantezza del marmo tra le eleganti pieghe di drappi e forme.
Camminò godendosi il paesaggio come mai aveva fatto in vita sua finché le luci del tramonto furono sostituite delle fiaccole perché in quel luogo, a quanto pareva, non c’era corrente elettrica, ma solo fuoco.
Per tutta la serata aveva ammirato la fissità, se pur leggera, di quel mondo di marmi e pietre incoronato dalle montagne e non si aspettava certo altro dalla nottata, ma si sbagliava. Non appena il fuoco delle torce si stabilì e rese la notte chiazzata di chiaro, un leggero movimento da una fontana attirò nuovamente la sua attenzione. Una forma umana si era staccata da una statua dando fiato e carne alla pietra e dopo di lei un’altra ed un’altra fintanto che la notte si animò di vita. Suoni, rumori di zoccoli, balli e canzoni resero dimentica la dura eleganza dei marmi padroni del giorno.
Il buio aveva ingentilito la luce.
Uno spettacolo raffinato e quasi onirico prese vita in mezzo agli abitanti del luogo.
Su quel palcoscenico ove l’immobilità andava a braccetto con l’eleganza e la delicatezza dei gesti, un secolo passato si stava srotolando intorno a lei. Si sedette sull’erba e guardò. Poi fu mattino.

L’angelo dell’Amore

L’aveva incontrato solo una volta; Lui era intento a fare ciò che doveva fare curvo sul suo lavoro quotidiano senza badare a chi o cosa gli stesse passando accanto. Anche Lei era intenta nella sua vita e passò a fianco a quel giovane uomo accoccolato con la leggerezza della giovinezza. Solo una volta oltrepassato Lei lo sentì. Era come una forza che imponeva al suo corpo di voltarsi; si arrese e si voltò proprio mentre lui alzava gli occhi nella sua direzione. Si guardarono senza vedersi veramente; uno sguardo che parlava più ad ognuno di se stesso che dell’altro. Lei ne rimase sconvolta. Non si era solo girata, gli aveva regalato la sua anima e quasi certamente il suo corpo.

Poi era capitato di incontrarsi e scambiare anche qualche parola, ma un senso di bizzarro era cresciuto in Lei perché, essendo estranei, si parlavano da estranei, ma, dentro di sé, Lei non riusciva a percepire la differenza tra il proprio corpo e quello di Lui. Era come se la realtà scomparisse per lasciare emergere un mondo fatto solo di loro due. Il dentro era l’opposto del fuori e Lei ci stava seduta in mezzo. Era difficilissimo. Che fare? Ci pensò la vita: troppo diversi non si incontrarono quasi più.

Ma la loro storia non finì lì. Perché smisero di incontrarsi di persona ed iniziarono a frequentarsi la notte in sogni ove non parlavano la lingua del sonno; il loro vocabolario apparteneva alla vita. Qui si incontrarono di nuovo una prima volta, ponendo molta attenzione l’uno nell’altra; si regalarono il tempo di conoscersi reciprocamente e piacersi per mille motivi, non sempre logici; chiacchierarono di mille cose senza che le differenze tra loro riuscissero a recidere ciò che era nato da uno sguardo non dato. Lui la andava a trovare presto la mattina e le si sdraiava accanto svegliandola con gentilezza; oppure la trascinava via da quel letto quando ancora non si era addormentata per portala in posti mai visti prima, ma ormai familiari ad entrambi in quel sonno vissuto.

Nel sonno si amarono fisicamente molte volte regalandosi sensazioni sconosciute o conosciute; assieme arrivarono a fondersi nel piacere senza mai sentire il desiderio di dover chiudere gli occhi perché quegli occhi erano già chiusi. C’erano solo loro due senza la vita vera; quella ove certe cose non avvengono mai. Lì tutto avveniva ed anche di più in un rincorrersi di felicità che durava semplicemente il tempo del sogno. Poi Lui volava via portato da bellissime ali bianche salutandola con un bacio senza tempo; Lei lo guardava allontanarsi con una luce nuova negli occhi.

Nella realtà, fuori dal sogno, capitò che si incontrassero ancora; sempre estranei si trattavano con una familiarità rara forse consci entrambi che nel mondo ove l’astro maggiore non è il sole la loro era un’altra storia.

Fantasmi

Fantasmi mi siedono al lato, salda compagnia di prua mentre scruto, con il pensiero assente, questo mare incellofanato.
Come il pilota automatico porta la sua barca, così io vago nel mio blu.
La tua mano invisibile accarezza i capelli al vento e si incastra nei nodi. Intrappolato sei ai miei meandri mentre accendi e spegni un sorriso lontano.
Ti blocchi inconsapevole sull’intuizione che fu:
Forse che Lei…

Gioia

La lunga giornata di lavoro l’aveva addormentata di un sonno buio, uno di quelli vuoti che non conoscono messaggi ne’ desideri. Era emersa da quello stato di incoscienza perché qualcosa dentro di Lei l’aveva di colpo spinta verso l’alto dandole una gran botta sul cuore.
Le servirono alcuni secondi per tornare in se’. “Son morta? Son viva? Chi sono?” Non vi fu risposta ad alcuna di queste domande. Si prese allora qualche altro secondo per frugare nella sua mente e cercare di trovare qualche certezza mentre tentava di alzarsi, ma niente.
Quel nulla la spaventò così tanto che una scarica di adrenalina iniziò a farla tremare tutta. Ascoltò il suo tremito sperando portasse chiarezza ai pensieri. Nessun pensiero ancora, però sentì che nel suo corpo una serena felicità’ aveva preso il posto del tremito.
“Perché sono così felice?”
Le pareva che una gioia nuova avesse invaso ogni sua cellula. Un senso di soddisfazione nato fuori dall’ordinario aveva occupato ogni suo interstizio libero.
“Bene se sono felice son viva!”, almeno una domanda aveva avuto risposta!
“La botta al cuore”, si disse, “forse non è stata altro che il venire al mondo di questa strana felicità”.
“Ahh penso anche!” pensò.
“ Ma perché sono così felice?”
Fu il cuore a risponderle dicendole che la causa di tanta serenità era stata quella scelta. Una decisione sulla sua vita presa nei giorni addietro che non era nata dal bisogno o dall’occorrenza, no era nata dal semplice voler fare perché era da farsi; perché in quella scelta la sua vita le avrebbe aderito addosso come un tubino stretto segnando le sue forme.
Pensò che questa fosse la prima decisione libera della sua vita, l’unica, fino ad allora, capace di spingere la propria esistenza là dove Lei voleva.
Un tassello verso il giusto.
Ecco ora le era tornato alla mente anche il suo nome e con lui tutto il suo vivere.
Finì di sollevarsi e andò in cucina a prepararsi un panino.

Sognando Andrea

Entrarono dalla porta di legno impiallacciato, una di quelle che non hanno né arte né parte e che puoi comprare in un qualsiasi grande magazzino. Quella era la sua casa e lui ne andava fiero; si vedeva dall’espressione del viso dell’ uomo basso e tarchiatello. Lei si trovò immersa in uno spazio verde tirato a grassello. Il verde pisello, venato di bianco e grigio, ricopriva ogni parete e ogni soffitto dell’appartamento e con la sua sostanza di campi e natura faceva a pugni con la dimensione dei locali, piccoli buchi attaccati ad un corridoio che girava buio intorno a qualcosa che non apparteneva al appartamento. La cosa le stonava, lei non capiva come lui avesse potuto scegliere uno spazio del genere per vivere e quindi colorarlo così di libertà. Non le tornavano i conti. Poi ci pensò, lui appariva giovane, anche se nel suo cuore lei lo sapeva suo coetaneo; così quella, forse, era stata una scelta economica obbligata data la sua età ancora croccante. Mentre lei cercava di appiattire l’incongruità, lui si perse a fare cose, distratto da tutti i suoi ospiti e lei continuò a girare per quella piccolissima casa, sola con la sua sensazione di soffocamento. Oppressa da tanta strettezza, constatò che lui era gentile con lei, particolarmente gentile. Lui vegliava su di lei; infatti qualsiasi cosa lui stesse facendo od ovunque lui fosse, lei si sentiva nel suo campo visivo. Che sensazione gradevole era! Pensò che ciò fosse dovuto al fatto che nonostante i trent’anni di lui, loro fossero amici da almeno cinquanta e cinquant’anni di amicizia portano a comportamenti del genere, ma non volle andare oltre con quel pensiero per via di quella piccola differenza di vent’anni non proprio canonica. Così continuò a perdersi nel verde pisello strizzato dall’angusto spazio, girò un angolo e si trovò davanti al suo albero di Natale. Lo aveva costruito usando alcuni tavolini bianchi a forma di quadrifoglio impilati con gli steli uno sull’altro che aveva poi posato su un normale tavolo bianco con le quattro gambe di legno. Ogni petalo dei quadrifogli risvoltava verso il basso; su ogni petalo lui aveva accomodato una serie di addobbi natalizi; così, chi guardava vedeva il petalo delle palline, quello degli orsetti, quello dei festoni, degli angeli bianchi e degli angeli dorati. Sembrava tutto appoggiato, quasi abbandonato per essere poi riordinato. Gli steli dei tavolini a quadrifoglio giravano sul tavolo sottostante e, ruotando, i petali si abbassavano ulteriormente e gli addobbi rotolavano verso il basso senza mai però cadere oltre il bordo. L’effetto era bellissimo. Lei volle toccare un petalo disequilibrando il movimento e si ritrovò con un orsetto blu in mano, che frettolosamente cercò di riporre al suo posto mentre l’albero continuava a girare. In quel momento lui sbucò da un locale attiguo e le disse: “ Ti preparo da mangiare una minestra.” Lei gli sorrise e scusandosi gli disse che non era digiuna, ma sazia per la cena già consumata. Gli occhi di lui si illuminarono, e lei ne fu confusa, perché non capiva. Poi lui le disse: “ Bene perché a me non piace la minestra. Allora ora posso mangiare alla mia maniera.” Poi rise, le strizzò l’occhio ed andò in sala, che era pure piccola piccola. Lì un grosso tavolo rotondo troneggiava attaccato ad un frigorifero dalle dimensioni impressionanti. Lei lo seguì e quando vide l’ambiente non pensò tanto alla stranezza delle dimensioni degli oggetti, quanto al perché lui tenesse il frigorifero in soggiorno e non in cucina. Lui le fu al fianco ed aprì il frigorifero chiacchierando tranquillamente. Tirò fuori un vassoio Liberty di circa un metro e venti di diametro ove erano sistemati piatti e zuppiere coordinati pieni dei più disparati cibi. I colori dei cibi giocavano con tutti i riccioli dorati e sforacchiati della ceramica. Lei strabuzzò mentre il vassoio risposto sul tavolo lo occupò completamente. Lei ancora guardò incredula; … che oggetto meraviglioso era quello. Proveniente da un’altra era, appoggiato nel anno duemiladiciasette creava una frattura di tempo e spazio sorprendente da vivere. Col suo sorriso sempre ben stampato in viso, lui si sedette, ruotò il vassoio, e scelse il cibo da ingurgitare, prese il piatto e se lo piazzò in grembo. Toccò ad un hamburger con insalata e pomodori. Poi le disse: “ Così posso sempre scegliere cosa mangiare.” Lei gli sorrise indietro affascinata da tante stranezze. Mentre lui mangiava, fu attratta da alcuni documenti che riguardavano la sua propria vita e che erano arrivati a lui probabilmente a causa del suo lavoro. Nel suo cuore, infatti, lo sapeva avvocato. Con lo sguardo gli chiese se poteva darci un occhiata, lui le disse: “ Solo perché sei tu.” Venne ora di uscire. Lui le appoggiò un braccio sulla schiena e la accompagnò dolcemente attraverso una porta scorrevole. Così lei si ritrovò con lui in un montacarichi che saliva lento al piano di sopra. Lì attraversarono due ambienti, piccoli pure loro, la camera di lui e una specie di studiolo, entrambi disordinatissimi, e poi si ritrovarono di nuovo davanti alla porta di legno impiallacciato, quella che non ha né arte né parte e che puoi comprare in un qualsiasi grande magazzino. Uscirono. Lei nel suo intimo si chiese: “ Ma entrando la casa non era tutta su un piano? perché ora, uscendo, aveva invece due piani? ” Lui parve non dare importanza a questa piccola diversità. Forse, entrando ed uscendo spesso, ci si era abituato. Lei lo guardò di nuovo e fece un ultima riflessione: “ E pensare che quest’uomo per lavoro fa il soldato ….”.
Poi fu la notte….forse normale.