Il Puma

Sei mai stato in bocca al Puma quando caccia? Questo era uscito dalle sue labbra quando, dopo anni, si erano, per caso, rincontrati. Non sapeva chi lui fosse, ma la loro era comunque una conoscenza profonda che li aveva portati entrambi a riconoscersi dopo così tanto tempo; a parte questo Lei di lui sapeva solo che era un ladro.
Non è che ci fossero molte risposte da dare alla sua domanda, infatti lui continuò a guardarla senza rispondere. Non si stranì, non si ritrasse, continuò semplicemente a cercare nella sua mente una risposta degna mentre teneva fisso lo sguardo nei suoi occhi.
Lei sosteneva quello sguardo, incapace di muoversi, ma mentre lui cercava una risposta, Lei si domandava come diavolo avesse potuto chiedergli una cosa del genere.
Non che la domanda non avesse senso per Lei; sapeva esattamente che cosa significasse, ma non era cosa da chiedere ad uno sconosciuto tantomeno a lui, un ladro che anni addietro l’aveva guardata dentro agli occhi risparmiandola.
No, non sono mai stato nella bocca di un puma. Sono stato in molti luoghi, ma non lì. Com’è?
Pieno di sangue direi.
E perché ci vai allora?
Perché mi piace cacciare con lui. Mi piace l’adrenalina; nel momento in cui toglie la vita mi sento potente, invincibile. Come se la vita tolta alla sua vittima ampliasse la mia.
E’ brutto che io provi cose del genere?
Stai chiedendo ad un ladro se è sbagliato voler essere protagonista tanto della vita quanto della morte?
Forse.
Io non uccido, ma quando derubo mi sento invincibile. L’uomo degli uomini. Sono il vero me stesso mentre qualcun altro è spezzato. Non lo faccio solo per denaro sai.
Sono un essere orrendo?
Stai chiedendo a una tua vittima se sei brutto nel momento in cui ti senti perfetto?
Io ti ho risparmiata….
Ora non fare il rigoroso….
Per quello che vale io ti ho trovato bellissimo, non ho avuto paura e non mi sono sentita violata, mi sono divertita. Mio malgrado ero protagonista anch’io in quel momento ed ho scelto di divertirmi invece che di subirti.
Già non mi era mai capitata una reazione come la tua, mi hai disarmato e me ne sono andato a mani vuote di beni, ma con altri tesori ben oltre le mie rapine migliori.
Non ci ho dormito per giorni.
Idem.
Quindi ora vuoi provare a derubarmi di nuovo?
Potrei, ma anche no. Mi hai già dato abbastanza direi.
Se ti offro un caffè mi racconti come caspita fai ad infilarti nella bocca del puma?
Se mi offri un caffè faccio ben altro: ti ci porto.

Portogallo

Adoro partire, un po’ meno tornare e ora mi tocca. Rientro nei binari conosciuti, Milano e’ di nuovo il mio orizzonte, due ore ed e’ fatta. Alle mie spalle il mio biondo e riccioluto ragazzo, una settimana assieme dopo un’estate ed un oceano. Io di qua, lui di la’. E’stato bello; familiare in un paese straniero con una lingua che si capisce, ma non si capisce, si parla, ma anche no. Lui e’ rimasto li, io rientro; ma ci siamo dati un appuntamento a fine mese in Sardegna e cosi’ il futuro perde la patina del noto e si riscopre intrigante. Cosa porto a casa dal Portogallo oltre al sorriso di Valerio? I ponti di ferro, l’oceano ed il viso degli uomini coperto da barba e baffi. Il sig. Eifell qui si e’ divertito a rivettare masse di ferro lasciando un’impronta indelebile. Ha fermato la materia in travi , traverse, puntoni, controventi che duellano con la gravita’ in un movimento simmetricamente opposto al moto delle onde del vicino oceano. Queste rimesolano, danno e prendono, levigano e creano in un ciclo infinito; quelli fissano, sostengono e immobilizzano in un punto preciso senza piu’ tempo. Geometria grandiosa di un paese gentile, spontaneo e libero dove ancora si parcheggia ovunque senza creare scandalo e dove gli uomini, non si sa perche’, si celano dietro a barbe e baffi.

La spiaggia

Posso uno degli ombrelloni sul fondo, la’ al limite del suono dell’onda tonda? Si’ ma quello e’ lo spazio dei bambini…. Non fa nulla, non mi disturbano i piccoli…se lo dice lei….
Cosi’ era stata la prima conversazione della giornata.
Parole impreviste pronunciate in quel contenitore di persone ancora vuoto.
L’aveva addocchiato la settimana precedente guardando l’orizzonte dalla rocca.
Un pugno di ombrelloni verdi incastrato tra gli scogli giu’ nel mare.
Da lassu’ pareva uno degli elementi naturali che davano forma al Bello, troppo lontano per notare la quantita’ di esseri umani che ci si stipavano dentro. Cosi’, il fine settimana seguente, aveva deciso di riattraversare l’Italia per vedere come ci si stava sdraiati su uno di quei lettini.
Ora il bagno andava riempiendosi ed il brusio di coppie datate, madri sole con figli grandi, famigliole con bimbi piccoli andava affiancandosi al rombo delle onde che lambivano quel vuoto abitato, giano bifronte tra le acque salate.
Pareva una gara a salire, chi avrebbe vinto? L’umano o il mare?
Per ora il mare, ma ancora era presto…
L’occasione era stata un trasporto, piu’ fatica che altro, ma perche’ non trasformare i tempi morti in attimi indelebili? Non momenti nodali per l’umanita’, nulla di cosi’ eccezionale; solo un tocco di esperienza del Bello da tenere annotato nella memoria.
Ci aveva provato anche la sera prima con la cena: la piazza del paesino che dall’alto domina il mare, il ristorante dentro al torrione…tutto perfetto, ma le lasagne di pesce non proprio buone ed un mal di pancia improvviso avevano tolto al momento il fascino sperato cosi’ rimanevano solo quelle poche ore della mattina per riuscire nel suo intento di sperimentare il Bello Assoluto e poiche’ non era mai stata in un bagno attrezzato aveva deciso di andare a cercarlo la’.
E si’! ci si era avvicinata al momento perfetto subito prima che la fiumana di gente riempisse le sdaio. Poi aveva voluto provare a vedere se tutti quegli estranei che le si sedevano accanto potessero avere un posto anche dentro al suo Bello. Era intenta a guardarli ed ascoltarli quando il telefono aveva suonato. L’acquedotto voleva sapere l’indirizzo di una fornitura; ma cosa rispondere se la strada non aveva nome perche’ stava per essere costruita? Lavoro! No! il suo momento sospeso nel Bello stava svanendo di nuovo, stavolta non per un mal di pancia, ma per un indirizzo impossibile.
Toccava ricominciare da capo, chiuse gli occhi, ascolto’ le onde, senti’ le persone e fu allora che il sole sbuco’ dall’ombrellone baciandole il corpo. Il caldo la invase e le venne voglia di farsi un bagno, tutto il resto fini’ nel dimenticatoio….

Il borseggio

Ci sono giorni che iniziano normali e si chiudono uguali, ma ogni tanto accade l’eccezione e la vita, anche solo per qualche momento, si riempie e straborda. Lei stava andando alla macchina gia’ immersa in quello che i suoi occhi avrebbero visto quel giorno. Camminava sola nell’isola figlia dell’ incanto e della tranquillita’ mediterranea. Poi qualcosa era successo: un movimento impercettibile, ma in grado di rompere l’equilibrio della mattina perfetta, di obbligarla a reagire e tornare incollata all’asfalto. Il suo corpo, per arco riflesso, si era girato su se stesso, gli occhi erano andati alla borsa e Lei aveva avuto la conferma di quello che la mente le aveva gia’ confessato. Un istante lungo abbastanza per risvegliare il puma dormiente dentro di Lei. La sua mano, sovrascritta dalla zampa artigliata dell’animale si era infilata nella borsa ed aveva agguantato l’avambraccio di lui. Solo in quel momento si erano guardati occhio dentro all’occhio lei continuando a stringere, lui senza reagire. Un dialogo muto inizio’ tra loro. “Ma che fai? Mi stai derubando?” “ Non e’ come sembra, ti sbagli.” “ Ma il tuo braccio era infilato fino al gomito nella mia borsa…” “Non e’ come credi, ti sbagi; io non sono un ladro…” Piu’ sorpresa che spaventata Lei continuava a stringelo e lui, piu’ sorpreso che spaventato non si sottraeva alla stretta, come se stesse pagando per il malfatto decidendo di rimanere tra le sue dita. Entrambi stupiti ed inchiodati dalla propria reazione. Lui avrebbe potuto atterrarla con la violenza dei suoi muscoli giovani ed abbronzati. Lei avrebbe potuto scappare e mettersi al sicuro. Ma nulla accadeva. Stavano li occhi negli occhi, avambraccio di lui tra le dita di Lei, immobili, immersi in quel dialogo di occhi che come un ponte univa due rive straniere. Un contatto tra loro che annientava il malfatto, l’asfalto, il tradimento tra esseri umani e creava un baleno di meraviglia difficile da dimenticare per entrambi. In quel momento Lei si spavento’ incapace di dare significato a cio’ che stava accadendo. “Go away” gli urlo’ senza lasciarlo e costringendo lui a guardare il suo braccio chiedendo con gli occhi di essere sciolto da quella fusione accaduta e non voluta. Lei lascio’ la presa, lui non scappo’, si allontano’ superandola senza sfiorarla. Solo allora il cuore di lei inizio’ a correre per l’adrenalina o l’emozione rendendo al giorno la magia del luogo o dell’accaduto e chiedendole solo di fermarsi un attimo a riprendere fiato prima di tornare ad immergersi nella bellezza dell’isola.

via Sirtori 4

E’ piu’ forte di me; ogni volta che passo alzo gli occhi verso quelle finestre.
Queste erano state le parole della sua amica.
Uno sguardo durato circa quarant’anni.
Uno sguardo lunghissimo.
Ma Lei la sapeva un’azione possibile. Anche i suoi occhi, fermi al semaforo, si alzavano ed andavano la’; poi scendevano di due piani lasciandosi andare a dolci ricordi prima di ripartire.
Un movimento durato quarant’anni che non aveva saputo smettere.
Per tutte accadeva una volta all’anno, il giorno piu’ aspettato dall’intera classe. Rimasto nel cuore di ognuna. Simbolo di un’eta’ andata, ma non dimenticata; superata, ma ancora amata.
Un giorno fuori dagli altri, senza regole o controlli, scadenzato dal battito della batteria che risuonava facendo muovere tutti quei minuscoli piedi al ritmo di un Twist o di un Alligalli.
E poi le risa, le corse, i regali, tutti quei diari luchettati che mai si sarebbero riempiti di parole, arrivati in magnifici pacchetti colorati con biglietti dalle frasi piu’ strane guardati poi come tesori. I diari si erano persi, ma i biglietti giacevano ancora in qualche scatola dimenticata.
Era la festa del suo compleanno. L’intera classe riunita fuori da scuola. Niente regole, nessuno sguardo giudicante. Solo loro ed il loro mondo dove realtà e fantasia ancora non si erano scisse.
C’erano anche i maschi! Due. I suoi cugini. Due maschi in un universo di femmine.
Undici ne avevano festaggiati al ritmo della batteria. Valevano quello sguardo durato quaran’anni? Pareva di si’.
Lei alzava gli occhi al calore della casa della sua infanzia, al ricordo dei suoi nonni, ma tutte le altre alzavano gli occhi al momento di una festa, di una classe, di un tempo andato rimasto indelebile.
Ora vivo solamente nell’attimo di quel semaforo rosso e nel nome di una via: via Sirtori 4.

La vampa

Se vedi il fuoco scappi. Se è all’aperto speri che il vento smetta e comunque corri controvento. Se è all’interno chiudi la finestra e te la dai a gambe; ma se è dentro di te? Che fai? Trattieni il respiro ed esci dal corpo?
Not possible!
Non sto parlando di avvampare per qualche bel fisico o di bruciare d’amore per il tuo miglior amico.
Sto parlando di un vero incendio. La pelle che brucia di un fuoco a testa in giù; le fiamme che partono dallo stato interno dell’epidermide e usano i muscoli o quello che c’è direttamente sotto la cute a mo’ di cielo.
Non mi capita spesso, ma mi capita.
Non è la luce a farmi bruciare, semplicemente una mia cellula si infiamma e l’ossigeno nel sangue porta poi il fuoco in giro un po’ ovunque: gambe, braccia, schiena, pancia, piedi, mani… vi assicuro, ci vuole poco ad accendere un corpo…
Sono un vampiro? Non lo so perché a parte il sedere di mia sorella, molti anni fa, non ho mai morsicato nessuno. Tranquilli, lei non si è dissanguata; si è solo molto arrabbiata.
Ma è pur vero però che ai tempi mai mi avvampavo, allora vi chiedo di immedesimarvi un momento in me ora: come faccio a vivere senza sapere se sono cambiata o quale sia la mia propria reale natura?
Così ho dato un’occhiata alla luna (non c’è; il cielo è nero, via libera) e sono uscita a morsicare qualcuno.
Non domandatemi perché ho controllato la luna; l’ho fatto e basta! Però potete chiedermi perché questa sera, a questo so rispondere: oggi brucio.
Ho morsicato tre persone; ma non sconosciuti perché poi come avrei fatto a ritrovarli per controllarli? E nemmeno amici, mica che sono sul serio un vampiro. Non mi pareva carino risucchiare la vita ad una persona cara.
Ho morsicato dei conoscenti; mi è parso un buon compromesso: abbastanza lontani da non starci male in caso non fossi riuscita a fermarmi e abbastanza vicini da controllare gli effetti del morso … sempre che fossero riusciti ad allontanarsi da me sulle proprie gambe.
Il primo che ho morso è il cingalese che vende giochini giù qui all’angolo. Un uomo dal sorriso gentile; qualche volta ci siamo anche parlati, presto la mattina quando non c’è in giro nessuno. Non gli ho chiesto il permesso, l’ho preso alle spalle e gli ho aperto il collo. La pelle sapeva di spezie a tal punto che mi ha urtato il palato così non sono sicura di essere riuscita a succhiare il suo sangue. Lui poi si è girato, tutto spaventato, e per carità ci può stare, ma a quel punto io mi sono imbarazzata, mi si è gelato il cervello, ho smesso di pensare e l’unica cosa che il mio corpo è riuscito a fare è stata darsela a gambe.
Ma capitemi è stato il mio primo morso e capita di non riuscirci al primo colpo; se vi stessi raccontando la mia vita sessuale, probabilmente passerebbero pagine e pagine prime di poter leggere le cime dell’Everest. Invece il morso perfetto tra poco arriva, dovete solo aspettare la terza persona.
Il secondo morso l’ho dato poco più in là; alla proprietaria del sexy shop nella via acanto. Di lei so un poco di più, spesso prendiamo il caffè assieme ed una volta abbiamo anche fatto un pic-nic sul prato di piazza Gae Aulenti con tanto di coperta e cestino.
Questa volta ho usato un’altra tattica, perché volevo proprio succhiarle il sangue. Le ho chiesto se potevo appoggiare le labbra al suo collo, sperando che avendo un sexy shop non badasse troppo alle richieste un poco strane. Infatti mi ha detto di sì. Non ho inspirato per non farmi travolgere dall’odore della sua pelle, ed appena ho appoggiato le labbra al collo ho morso più forte che ho potuto. Lei fastidiosamente ha cercato di allontanarmi, ma io l’ho tenuta forte con le mani finché non ho sentito sapore di sangue. Incredibilmente, a questo punto, sono stata io a volermi allontanare.
Dovete sapere che a parte il sangue di bue, una medicina che ci davano da piccoli e che poi hanno ritirato dal commercio, io il sangue non l’ho mai bevuto; si mi sono succhiata qualche ferita, ma non credo che questo valga e, non so, è stato un poco uno shock: piacevole, ma in qualche modo inaspettato.
Lei mi ha guardato stranita, poi si è messa un fazzoletto sulla ferita e mi ha girato le spalle andandosene come un automa. Forse è vero che le persone non ricordano i morsi. Comunque domani la vado a trovare in negozio, giusto per controllare se è ancora viva e se per caso sia arrabbiata con me.
Devo dire che superato lo shock del sangue in bocca, ho provato un certo orgoglio. Questa volta ho morso e succhiato, così ho continuato per la mia strada felice.
La terza persona che ho incontrato è stata il cuoco del Bar del Sole. Non ci siamo mai parlati, ma ho più volte notato che mi guarda strano e pure spesso; così ho pensato che con lui potesse essere facile.
A pensarci bene, così a freddo, non so perché fossi tanto preoccupata e cercassi situazioni che mi avvantaggiassero, in fondo ciò che andavo chiedendo era solo di poter dare un morso e succhiare un poco di sangue. Vi pare un’inusuale richiesta da fare?
Comunque con lui è stato semplice. Come mi ha visto, si è fermato e mi ha nuovamente guardato strano; io non ho dovuto far altro che acchiappare i suoi occhi e restituirgli lo sguardo per avvicinarmi al suo collo. Forse sperava in un bacio sensuale, invece si è beccato un bel morso sul collo. In onore di quegli sguardi che in fondo mi fanno molto piacere ho cercato di morsicare il suo collo nel modo più passionale possibile. Ho dovuto un po’ improvvisare perché nessuno ti insegna come si morsica appassionatamente, ma credo di esserci riuscita perché lui mi ha tranquillamente lasciata fare.
Questa volta l’odore della pelle non ha infastidito le mie narici pur respirando, nè l’azione ha provocato alcuno shock al mio sentire.
Il suo sangue era acqua per il mio incendio interiore.
E’ buffo lui ha reagito strano, pareva un poco eccitarsi mentre io mi stavo letteralmente spegnendo dentro.
Non è proprio semplice trasformare il morso in un foro se la natura non è stata prodiga in quanto a canini e vi assicuro che con l’essere umano non lo è stata. Ad un certo punto ho dovuto chiedergli di spingere con il collo verso di me perché non riuscivo a forarlo con la mia sola forza, ma lui era come ipnotizzato con quello strano sorriso appiccicato alla faccia e non mi è stato particolarmente d’aiuto. Allora ho pensato di usare un approccio creativo con quest’uomo dallo sguardo ammagliante: gli ho detto che se voleva aver salva la vita doveva collaborare con me. Ho usato il tono più minaccioso possibile e lui ci è cascato come uno sciocco… pensate sia mai possibile che io possa fare del male ad un altro essere umano ….?
Pensandoci bene, forse ho semplicemente urlato e lui si è semplicemente svegliato. Sta di fatto che finalmente ci ha messo del suo ed il morso ha dato i suoi frutti, o meglio il suo liquido….
Il suo sangue era caldo, ma non scottava; non sapeva nemmeno troppo di ferro. Aveva un buon sapore ed il potere di quietarmi dentro. Così l’ho morsicato più di una volta e l’ultima volta solo per il gusto di farlo dato che aveva ormai spento ogni mio incendio. Lui stava immobile e lasciava fare, ma non era proprio del tutto fermo perché, secondo me, quando io mi fermavo per respirare lui allungava il collo come per dire: son qui; e mi guardava con quel suo sguardo che quasi dimenticavo perché stavo mordendo. Non so mi ha messo a mio agio a tal punto che forse ritorno da lui la prossima volta che avvampo… sempre che domani sia ancora vivo…
Perché lo considero un morso perfetto? Perché mentre mordevo io stavo da dio; mi sono goduta ogni singola goccia del suo sangue prezioso e mi è piaciuto affondare i miei denti in quel collo che all’inizio pareva non voler cedere e che invece alla fine era morbido da non voler smettere e voler ritornare.
L’ho reso docile e collaborativo ed anche questo in fondo conta per la buona riuscita di un morso.
Vi devo confessare però che sopra ogni cosa credo sia stato perfetto perché ha spento il mio incendio e ne ha acceso uno dentro di lui. Lo so perché quando se ne è andato per salutarmi mi ha fatto un sorriso con l’occhiolino.
State sereni comunque domani scendo e controllo quei tre … spero tanto di non dover far sparire dei corpi!
p.s. Non vedo l’ora di tornare ad avvampare per poter di nuovo morsicare….

Attrazione

Ecco succedeva di nuovo. Momento terribile. Tomba della tranquillita’. Annuncitore di schiavitu’. Quante volte si era incoronato imperatore della sua vita? Lo odiava. No, lo desiderava. No, lo odiava. Solo poteva cio’ che null’altro riusciva. Si presentava sotto mille forme, ma Lei lo sapeva sempre uguale. Attimo di natura eterna. Unico dio della sua vita. L’aveva obbligata a girarsi. Le aveva imposto una stretta di mano. Aveva fatto propria una parola mal data. Era stato dentro a uno sguardo. Aveva abitato un sorriso; ora ancora possedeva due occhi sopra una scala a levarle la testa. Tiranno, odioso tiranno. Albero della conoscenza. La nuova battaglia tra schiavi era iniziata. Non di nuovo, no. No, non smettere mai. Non di nuovo, no. Ma l’attimo aveva ancora una volta inciso la sua carne; non c’era ritorno. Quanti segni portava? Quanti segni l’avrebbero ancora marcata? Questo non era diverso dagli altri. Un rinculo nello stomaco, oracolo veggente del futuro monotamente noto eppur sorprendentemente da scoprire. Ora toccava semplicemente trasformare in vita quell’ imperativo binomio. A volte accadeva, a volte no. Ma il sigillo sempre ne usciva trionfatore. Ecco succedeva di nuovo.

Addio

Rigava e tornava a rigare quella giovane guancia una goccia, gemma di puro dolore, trasparente e pura, gioiello e suggello dell’amore che tutto chiede e tutto dà. Lui, forte e muscoloso, tagliato per lo sport e la fatica, uomo che tutto parlava di potenza e virilità quella mattina e quel pomeriggio e poi ancora quella sera era crollato schiacciato dal peso di una lacrima che non si fermava: lei era partita lasciandolo dietro all’impenetrabile nastro dell’aeroporto di Malpensa, quello di fianco alle scale che salgono ai ristoranti. Si erano stretti forte, aggrappati agli ultimi momenti del loro amore fisico, ancora incapaci di lasciarsi andare alla memoria. Poi lei aveva attraversato l’oceano con un battito d’ali lasciando lui incollato al pavimento, impietrito, incapace di altro se non di cercarla con l’occhio oltre le divise del personale di terra, oltre l’orizzonte. Traccia di lei quella goccia a solcare il suo volto ed una promessa. Sì, certo si sarebbero rivisti: il loro viaggio assieme era solo all’inizio; sì certo avevano ognuno mille cose da fare: università da frequentare, risultati da ottenere, mondi da scoprire; sì certo…, ma ora sopravviveva solo quella stilla bagnata, esplosione vulcanica di vuoto, big ben del nulla da vincere, paralisi eterna. A poco serviva la sua forza fisica, a nulla la sua potenza ed i suoi muscoli, inutile la sua umanità. Il pianto era invincibile. Allora lui lasciò scorrere le sue lacrime chiedendo a lei di raccoglierle nella memoria a testimone del suo amore grande e lei lo sentì e le raccolse. Lui si addormentò mentre lei guardava le sue lacrime sorridendo innamorata. E’ così che il tempo tornò a scorrere, l’universo a vivere e lui a respirare. E’ così che lui vinse se stesso.

Blade Runner

E le immagini erano esplose nell’aria e prima non c’erano e poi c’erano e Lei non era più sola nel cielo e neanche nella città e nemmeno sui tetti e poi aveva riso perché non era più sola e le immagini erano grandi e erano anche silenziose e prima non c’erano e poi c’erano e Lei sapeva che sotto alle immagini c’erano persone ma non le importava perché ora non era più sola aveva le immagini che erano grandi e anche silenziose e il cielo era buio nero città che è il buio nero chiaro non il buio nero scuro della campagna e adesso la città era diventata Blade Runner e Lei da sempre voleva entrarci dentro ma non per i robot che non le piacevano e neanche per le pistole che erano fredde voleva le immagini che esplodevano ovunque e entrare nella foto famosa che era bellissima per tutti gli altri ma che a Lei non diceva niente e giù nella strada c’era la gente che vociava e non si vedeva e neanche si sentiva però si sapeva che c’era la gente e si sapeva e basta e anche la gente giù nella strada era dentro a Blade Runner ma non lo vedeva perché anche se alzava il collo era troppo bassa mentre Lei non era alta ma stava sul tetto e aveva visto l’immagine esplodere e si era alzata così era diventa ancora più alta e era entrata in Blade Runner ma adesso le immagini si erano spente e anche le persone sotto alle immagini e quelle giù nella strada erano sparite e Lei era rimasta sola sui tetti e la città era diventata un lungo piatto suono giallo su uno schermo nero zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz. punto.

Sorrisi

La vetrata fissa, la seduta continua tra i pilastri, due tavolini, due sedie frontali, un wifi. Sui tavolini quattro computer che litigano lo spazio con libri, piatti, tazze e bicchieri. Sulla panca due uomini, sulle sedie due donne. Due a due. In mezzo il vuoto. Questo e’ il centro del mondo. Qui avviene tutto. Contemporaneamente. A sinistra le spremute ascoltano quello che sembra essere un incontro di lavoro. Le possibili scelte, la loro convenieza occupano lo spazio tra le due bocche. I sospesi seguono le strategie. A turno le idee vengono messe sul piatto, accolte o eliminate come bocconi assaggiati. Universi che si incontrano o scontrano. Viaggi paralleli verso la meta comune. Sopra al tavolino il gran parlare satura l’aria. Un movimento di andata e ritorno. Frenesia di idee. A destra lui la guarda e si sospende. Non riesce a fare altro. Un minuto, due minuti, tre. Il tempo va ma gli occhi si fermano negli occhi. E lei anche. Un doppio sguardo timido e saldo dato e restituito. Incredulo e ancora timido. Lui alza la mano e le accarezza la guancia. Trema e non pronuncia parola. Le sue dita sono fragili pennelli che abbozzano pensieri. Lei e’ immobile e ancora non gira parola. Si sorridono. Silenzio. L’emozione inzuppa l’aria ed il respiro inciampa. I toast freddi stanno sul tavolino obliati. I computers pure. Il silenzio avvolge lo sguardo sospeso mentre due dita continuano ad accarezzale il viso.
Tutto intorno i libri guardano sicuri.
Loro sanno.