Articoli

Due madri

Due donne, due enormi sorrisi, la loro grande felicità che si chiude nell’abbraccio con l’amico comune che certo ha parte in tutto questo. Poi la carrozzina spinta con orgoglio dalla mamma che ha partorito mentre la mamma che ha sostenuto chiude entrambi in un tremulo abbraccio. Sono i primi due genitori mamme d’Italia. Io guardo quelle immagini di felicità e vittoria, ma il mio cuore si stringe e più io guardo più una profonda tristezza prende possesso del mio corpo, come una morsa che dal cuore si guadagna le altre membra finche’ arriva al cervello. La felicità vista, divenuta dolore sentito ora esplode in un istintivo pensiero. Un pensiero non pensato, ma provato. Tutto di me urla: “Povera creatura, ultima vittima della libertà del mondo adulto”. E poi un nuovo pensiero non pensato. Oggi l’umano ha perso in quella gioia stravolgente delle due mamme. Ho visto una nascita abortire la propria umanità nella celebrazione di ruoli uguali. Ho visto un parto che in primis si e’ arrogato un diritto egoista, il diritto alla genitorialità e solo in seconda battuta ha dato la vita. Un parto che pur dando alla luce un frutto vivo ha creato morte. E’ morta l’armonia di maschile e femminile come sinonimo di crescita umana. E’ morto il diritto all’intima esposizione alle due caratteristiche che fuse tra loro danno origine a Uomo e Donna e a tutte le loro infinite declinazioni. E’ morto il diritto all’imitazione come formula più semplice di crescere adulti. Ogni madre di figli cresciuti senza la presenza quotidiana di un padre sa che non basta il profondo amore per fare di un bimbo un adulto, ci vuole anche quotidiana esposizione. Ogni donna cresciuta negli anni in cui il femminile era sinonimo di inferiorità ed oppressione e veniva negato alle bambine, conosce la fatica di recuperare l’equilibrio che produce felicità. Crescerai piccolo bimbo come e’ cresciuto mio figlio e come sono cresciuta io con un grande vuoto che non e’ d’amore, ma di umano. Per l’egoismo altrui ti sarà chiesta una fatica innaturale e non necessaria. Spero le tue piccole spalle siano nate forti. Ben venuto al mondo cucciolo.

San Gallo

Era la regina di San Gallo indietro indietro nella sua infanzia, non la principessa che è cosa da bambine belline, lei ne era il re al femminile. Ancora la donna ricorda le corse spensierate su al Dosso del Grillo per accompagnare passo a passo la calata mattutina del sole verso la sua collina. È così che assicurava la luce al popolo sbarbato, scortandola in regale processione, un passo lasciato nelle tenebre e l’altro fatto nel giorno appena spuntato. E le piaceva accompagnare quella linea in movimento perché era come stare a cavalcioni del creato. Si sentiva libera, lei sola all’alba nel mondo vuoto, metà buio e metà illuminato. A quei tempi i suoi genitori erano ancora padroni della sua capigliatura che infatti era corta, tagliata per essere e non certo per apparire, ma il mondo racchiuso in quella valle, là dove i condannati passavano l’ultima notte di vita, apparteneva solo a lei e alla sua spensieratezza con la quale creava avventure per la comunità bambina che passava l’estate tra la collina ed il boschetto. Ogni elemento della natura si trasformava ai suoi occhi in occasione. E così trascinava la masnada di ragazzini a combattere le guerre della fantasia tra le trincee della collina per arrivare a sera saturi di schermaglie e paci con le guance rosee di vita. Oppure trasformava le cime degli alberi in comodi letti ove il suo popolo bambino potesse riposare nascosto agli occhi e ai pensieri dei genitori. Oppure ancora rendeva i grandi massi casse del supermercato ed i fili d’erba monete affinchè la sua parte femmina potesse divertirsi. Le spedizioni all’Adda, terra vietata, erano poi una prova richiesta a quel popolo bambino, così come le incursioni al cimitero per resistere, soli, alla vista delle fiammelle e poi tornare vincenti e cresciuti dagli altri. Tre gradini lei aveva per trono ai piedi della collina; lì decideva le sorti della giornata e lì chiudeva le serate d’estate; prima ad arrivare, ultima ad andare. Sì era il suo mondo e di null’altro aveva bisogno perché quello era un universo di meraviglie per i suoi occhi ancora bambini. Poi crebbe.