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Il sidro

Era un pomeriggio d’estate, afoso, di quelli in cui anche il camminare è fatica immane, così nella città deserta non restava che fermarsi a bere un sidro all’ombra delle paglie invecchiate sotto alle quali i baristi erano soliti posizionare i tavolini di legno fuori dagli ingressi dei loro bar.
L’uomo non aveva voglia di bere da solo, così individuò due figure sedute, già intente nell’assaporare la dolce bevanda, che per qualche strano motivo parevano interessanti e con un cenno di capo chiese se fosse possibile sedersi al medesimo tavolo.
Non era un comportamento strano sedersi con estranei a quei tempi. Era abbastanza normale entrare in un locale ed unirsi a inverosimili compagnie che trovavano il loro unico scopo di essere nel dividere un tavolo per accompagnare la calura pomeridiana incontro alle brezze serali.
Uno degli uomini già seduti era cicciottello, scuro nei tratti, con un grande sorriso. Tutto di lui pareva rilassato. Non era a suo agio con quel caldo, probabilmente era straniero in quella città, forse abituato a climi più freddi. Il secondo uomo, alto e asciutto, aveva capelli grigi e riccioli, sembrava molto riservato, chiuso in se stesso e decisamente a suo agio in quel clima.
Forse era stata la grande differenza tra le due persone che aveva catturato l’attenzione del terzo uomo; quei due erano così agli antipodi l’uno dall’altro che egli pensò sarebbe stata un’interessante distrazione dal caldo cercare di decifrare cosa li tenesse assieme perché i due, ognuno con la propria modalità, l’uno rilassato ed espansivo, l’altro riservato e raccolto chiacchieravano amabilmente.
Dopo aver ordinato un sidro per il nuovo arrivato e dopo alcuni convenevoli i due ripresero a parlare tra loro. Stavano scarabocchiando qualcosa sui tovaglioli di carta; un disegno pareva una croce forata nel centro con tre gradoni per ogni lato, ed era l’uomo abbondante a tratteggiarlo sulla carta cerata, l’altro invece stava tracciando una serie di dieci cerchi collegati tra loro da linee e sicuramente disposti secondo un qualche senso in tre diverse colonne.
Pareva si stessero spiegando a vicenda una qualche rivelazione che ognuno di quei due disegni nascondeva, ma non si stavano convincendo a vicenda della veridicità dei significati, pareva piuttosto che stessero confrontandosi sulle affinità che le due rappresentazioni avevano nel loro intimo.
Il terzo uomo si concentrò sui simboli, non li aveva mai visti prima; mentre li guardava qualche parola della conversazione raggiungeva la sua mente persa nei disegni: significato della vita, io sono mi manda, sarò chi sarò, tre mondi, cinque mondi, spazio e tempo, verticale orizzontale, maschio femmina, andare e tornare, luce emanazione, uno molti, conoscibile inconoscibile, desiderio e vita, parola e vita, sogno e vita….
Più loro conversavano, più lui si appassionava ai discorsi oltre che ai disegni.
Man mano che ascoltava i due parlare, i disegni prendevano significato, erano rappresentazioni semplici ed immediate delle loro religioni che però, ad approfondirne il senso, raccontavano di profondi costrutti filosofici sulla natura del mondo e sul senso della vita
Quei due uomini avevano avuto la capacità di concentrare un universo di idee in un simbolo.
Dopo le loro spiegazioni reciproche, guardando quei disegni lui si sentì come iniziato ai significati veri della vita. I due simboli non coincidevano esattamente sui significati, ma nella loro diversità esprimevano un’incredibile similitudine nell’aspetto fondamentale di unità che davano a tutte le manifestazioni della realtà ed al sentire dell’individuo; un legame dato dall’essere parte di un tutto troppo grande per essere contenuto nella sola fisicità;
un’unità nell’ infinità ed infinità nell’unità.
Era proprio questa idea latente nei due pensieri, che mai si erano incontrati durante la loro formazione, che aveva attirato la sua attenzione. Lui che tanti anni aveva speso in pensieri simili senza arrivare mai a tanta semplice globale essenzialità ora si trovava disarmato davanti alla forza dei simboli.
Pensò se anche lui potesse disegnare qualcosa sulla carta cerulea, ma la sua filosofia e le sue credenze religiose non avevano partorito simboli tanto potenti. Gli unici disegni che gli venivano in mente erano il simbolo matematico dell’infinito, quell’otto orizzontale chiuso in se stesso e la croce immagine di morte, supplizio e sofferenza seguita poi dalla resurrezione; nessuno dei due racchiudeva il significato profondo della vita e la spiegazione del mondo su cui lui aveva tanto pensato e studiato.
Alzò gli occhi verso la sua compagnia e chiese: “Ma voi chi siete?” Il cicciottello rispose: “un guaritore”, lo smilzo disse: “un profeta”. “Tu chi sei?” gli chiesero. Lui rispose: “Un filosofo.”

Happy Holidays

Happy Holidays, è scritto sulla quasi totalità delle vetrine del centro di Milano, una unica ne ho vista con un timido alberello e la scritta Marry Christmas in rosso. Camminavo per Buenos Aires ed un pensiero cresceva dentro di me. “Occidente senza palle!” Proprio nell’accezione che usano le donne quando lo dicono degli uomini. Quindi limitatamente con il significato di “pauroso”, ma ampliamente nel senso di “coglione incapace di essere uomo” e di “debole essere involuto non degno ” . Pare sia il politically correct che impone parole senza senso e senza storia e vieta parole pregne di ricordi, di atmosfera e di costume in nome del nulla laico. È la scelta di pochi fatta a tavolino con intenti ideologici poi abbracciata e coccolata dal mondo del commercio che spera così di aumentare i propri utili natalizi, ops scusate, holidariani. Alla setta dei nichilisti ideolocizzati, dei politically correct, ed al gregge dei commercianti che temono le parole che portano significati riparando nel niente voglio raccontare una storia.
C’era una volta, poco più di duemila anni fa, una giovane donna di nome Maria cui un giorno, in sogno, fu annunciato l’arrivo di un figlio di progenie divina ed in seguito a quell’annuncio il suo ventre iniziò a crescere. Lei ne conosceva molti di figli degli Dei perché sua mamma per farla dormire da piccola era usa leggerle Omero e le storie antiche. Ma nella sua cultura cose del genere non avvenivano più. Loro aspettavano sì un profeta salvatore, ma poteva mai essere che tutta l’attesa di un popolo si concludesse con il suo bambino? Lei non era che una semplice serva di quel unico Dio ai tempi amato da tutti e ora stava per diventare la madre di suo figlio. Che fare? Decise di fare la volontà del suo Dio e lasciò crescere quel bimbo divino dentro di sè. Andò in contro al suo destino e ne parlò al suo promesso, un falegname di nome Giuseppe. Giuseppe che era uomo buono ed amava molto Maria e pure molto amava Dio decise di accogliere e proteggere il frutto divino che stava crescendo dentro alla pancia di Maria. Era quasi giunto il termine quando venne loro imposto di recarsi a Betlemme per il censimento, così Giuseppe prese Maria, la caricò su un asinello ed assieme lasciarono Nazareth per Betlemme. Tutta la Palestina era in viaggio con loro, chi a nord chi a sud, tutti si stavano spostando. Arrivati a Betlemme non fu possibile trovare un luogo al chiuso per riposare perché erano già tutti occupati. Giuseppe guardò Maria e capì che il tempo era giunto. Si guardarono negli occhi ed ognuno lesse nello sguardo dell’altro lo stesso pensiero; si perché faceva paura diventare i genitori del figlio di Dio, ma loro erano due giovani forti si strinsero la mano e si dissero l’un l’altro: “sì”. Era, però, ora di muoversi, il bimbo arrivava. Giuseppe scorse una grotta poco fuori Betlemme, e vi accompagnò Maria. Vi fece entrare l’asinello ed un bue che pasceva lì intorno per scaldare quella dimora occasionale, ma tanto opportuna. Qui Maria, scaldata dal respiro dell’asinello e del bue, diede alla luce un bellissimo bambino che chiamò Gesù. Giuseppe uscì un attimo per riprendersi da tutte quelle emozioni e non riuscì a credere ai suoi occhi quando vide una quantità infinita di pastorelli venuti a rendere onore al piccolo nato da donna, ma figlio di un Dio. Lo avevano saputo guardando il cielo perché sulla grotta si era appoggiata una stella filante e loro avevano capito all’istante. C’erano anche tre dignitari stranieri vestiti a festa che portavano alcuni regali. Lì di fianco pascolavano tranquilli i loro cammelli mentre i dignitari si presentarono a Giuseppe. Erano Gaspare, Merchiorre e Baldassarre e portavano con sè oro incenso e mirra da donare al figlio di Dio bambino. Giuseppe, toccato da quel popolo di semplici e di re si fece da parte e lascò che le persone entrassero ad adorare il suo piccolo bimbo. Maria guardava quella inaspettata processione e poi abbassava lo sguardo innamorato sul suo bambino. Giuseppe guardava Maria felice dello sguardo di lei. Ad un certo punto un’espressione di profondo dolore velò il viso dell’amata; nessuno lo percepì, ma lui di lei conosceva ogni espressione e la cosa non gli sfuggì. Si chiese cosa mai avesse pensato Maria, ma lei non glielo disse mai. Nessuno sapeva ciò che lei sapeva. Il suo piccolo bimbo era venuto al mondo per imolare se stesso e regalare l’eterno all’intera umanità. Lui sarebbe vissuto solo trentatreanni e lei avrebbe dovuto contare gli anni a ritroso. Sapeva che le era dato di amare a tempo definito. Gli anni andarono ed il destino di quel piccolo bimbo divino si compì assieme a quello di Maria, di Giuseppe e di tutto quel popolo in adorazione. Lui venne crocifisso con le mani inchiodate e Maria dovette vivere la passione del figlio e lo scempio del corpo di lui, poi però visse anche la sua resurrezione. Così l’intera umanità ebbe a disposizione l’eterno. Da allora molta parte del mondo ricorda la nascita di quel bambinello. Lo fa addobbando un abete, creando un presepe, scambiandosi doni, andando alla Messa e scambiandosi auguri con due parole : Buon Natale. Lo fa perché sa che quel giorno di duemila e pochi anni fa al mondo fu fatto un regalo speciale. Il divino si fece umano, l’amore fu messo alla prova ed un bimbo morto poi crocefisso rese la vita eterna regalando all’umanità l’aldilà e la libertà di scegliere. E che la storia che vi ho raccontato appartenga alla realta’, alla religione oppure alla legenda non interessa. Interessa solo sapere di avere a disposizione l’infinito e poterlo festeggiare.
Sapete cos’è il niente in nome del quale sono imposte due parole senza senso? E’ solo un altro modo di percepire l’eterno.