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La dolce Cremona.

Il fascino della “Bassa” è tutto lombardo: nebbie da affettare, umidità equatoriale e odori di campagna abitata che si stampano nel naso appena gli occhi si affacciano sulla pianura irrigua. Chiunque vanta origini Lombarde, antiche o moderne, sa di cosa sto parlando…
Ogni tanto bisogna immergersi in questa terra fangosa, è un ritorno a casa atavico; pochi di noi appartengono veramente a Lei, ma tutti la sentono propria.
Nulla è meglio di una giornata di autunno per andare a farle visita. C’è, in questa stagione colorata, una vena di tristezza nascosta che è sorella della terra bagnata.
Ieri, ho pensato, fosse un giorno perfetto per vivere nomi come Soresina, Pizzighettone e perché no, Cremona. Io persona di riflessi, di leggerezze e di lago, volevo annusare l’odore della terra ferma.
Così con la mia zia mi sono messa in macchina, ma l’autunno ha mancato l’appuntamento con me, un poco come un uomo distratto che dimentica di presentarsi; al suo posto sole e temperature da piena estate, un poco come l’amico di sempre che si presenta per non lasciarti sola avendo annusato l’appuntamento mancato.
Quando viaggi la nebbia ed arrivi in città è presto fatto, ti rinchiudi in una delle sue trattorie e ti asciughi le ossa in un piatto brodoso e caldo; ma che fare a Cremona senza essere prima passati da nebbia ed umidità? Due cose hai a disposizione: guardare la sua cattedrale ed apprezzare il lavoro dei suoi liutai.
Allo scoccare di mezzogiorno, nel cuore dell’edificio razionalista di Carlo Cocchia, un casone tutto simmetria e linearità che oggi ospita il museo dei violini, le linee sinuose dell’auditorium prendono vita e ti abbracciano, dimentiche della rigida simmetria che le contiene, per un viaggio, unico e raro, nel suono di Stradivari.
Da lì, un giro al museo purpureo per ammirare quegli antichi violini ed ascoltarne la voce attraverso il codice a barre è d’obbligo. Se, a questo punto ti è venuta fame, al piano terra, il ristorante, incastrato tra i giochi delle mura in mattone proprio dietro all’uomo delle note, ti rifocilla con un pasto o un aperitivo.
Con la musica nelle orecchie è facile ora affrontare la cattedrale romanica, pesante perché l’anno mille è stato difficile da sostenere anche da queste parti, ma anche leggera, perché dopo il mille è arrivato il mille uno pure qui. Ci sbatti addosso a questa cattedrale che esternamente si mostra articolata in tre chiese con tre distinte piazze, un torrazzo ed un battistero. Tanta roba per una piccola cittadina sulle rive del Po’.
Ma quando guardi questo regalo del passato, devi ricordare che quello che tu vedi e tocchi è prodotto dell’effimero, in realtà non esiste; un miraggio dovuto alle note di Stradivari o alla nebbia mancata. La planimetria ufficiale della città non ne riporta traccia. Al suo posto è indicato il numero 1 arancione: piazza del Comune, ma nulla è detto del Duomo; e sì che al n° 2 arancione è fin segnata la “strada basolata romana”.
Perché non c’è traccia scritta di questo complesso romanico?
Di fronte alla cattedrale c’è effettivamente il palazzo medievale del Comune.
Perché lui sì e lei no?
Sarà mica l’eterna lotta tra Camillo e Peppone?
Io non lo so, ma è stato affascinante toccare con mano ciò che le planimetrie ufficiali ignorano o negano, e sentirlo tradotto nella musica lignea e sinuosa di Stradivari.