Il ponte

Quante volte aveva attraversato quel ponte? Erano anni ormai; questa sarebbe stata un’ennesima di molte. Presto la mattina viveva quei momenti così particolari accompagnata dal profumo della natura e dalle nebbie del giorno che nasce. Amava mantenere i ricordi di ciò che sarebbe stato legati all’esperienza dei sensi di ciò che precedeva. Perciò, quell’alba gelida, lei si chiuse nel suo pastrano, nascose il capo sotto al cappello e si incamminò verso il giorno. Sentì strisciare i tessuti sulle foglie appassite, così per un poco lasciò il suo orecchio ascoltare quel dialogo tra trame, che montava come un crescendo e poi tornava quieto, quasi nullo. Poi fu distratta dai movimenti dei suoi piedi che schiacciando nudi le vecchie assi del ponte rendevano l’abitudine del camminare un’invenzione condotta e si perse nel modificare il suo peso per far in modo che il legno sotto di lei le restituisse tutti gli scricchiolii che conosceva. Adorava sentire l’anima di quel corpo estraneo passarle attraverso i piedi e fondersi nella sua carne. L’umidità di quella mattina invernale le appiccicava la cappa addosso imprigionandola nei suoi medesimi movimenti, così per un poco si immerse nei confini fermati da quell’abbraccio bagnato che le premeva addosso marcando la differenza tra un fisico e l’altro. Giocò ad accaparrarsi un pezzetto di aria per obbligare, come in un intimo scontro, l’altra massa a farle spazio dentro di lei. Nel lottare si accorse col naso del sapore di quell’ora rara e si fermò ad annusare profondo e lungo per fermare in un brivido fisico l’odore di vita. Perse i suoi occhi nella nebbia densa che attutiva ogni pensiero nel limbo del nulla per regalarle la libertà di sentire ogni cosa. Lei lasciò andare gli occhi smarriti e chiusi, si accarezzò i piedi, tirò su col naso e poi, cieca di idee e sazia di sensi attraversò il ponte. La c’era l’altra sponda, lei era pronta.