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Le sorelle di Cenerentola

Ho conosciuto le sorelle di Cenerentola. Sono proprio come nella fiaba. Una era bruna, un poco formosa, succube del suo stesso sangue e sempre zitta. L’altra era alta, dai capelli biondi a spinaccio, magra, logorroica e con due vite perché si viveva la propria e quella della sorella. Le ho incontrate perché sono venute a trovare il principe che e’ un mio amico. Volevano farsi notare in previsione del ballo, senza sapere che da qualche giorno il principe sgattaiolava via dalle reali stanze per andare da(lla) Cenerentola appena incontrata. La corte al completo era a conoscenza delle reali manovre, ma non loro. Il mio amico principe, dalle maniere gentili, ha avuto del filo da torcere nel gestire le due sorellastre, Cenetentola e l’altra giovane amica anche lei arrivata per godere dei regi privilegi, ma essendo abituato alla corte di donne se l’e’ cavata egregiamente uscendone con la propria immagine perfettamente vergine. Ma non fatemi dilungare sul principe che voglio raccontare delle due sorellastre. Scusami principe so che ami la ribalta, ma hai già avuto il tuo momento. Dicevo…. Erano proprio due donne spaventose soprattutto per i loro volti. Avevano rughe che rendevano i loro tratti bitorzoluti; mancava il sorriso e gli occhi erano profondamente arrabbiati. Mi ha così spaventato guardarle che sono scappata lontano. Non ho retto alla vista di donne offese da se’ medesime. Poi sono tornata, per educazione, e le ho ascoltate parlare. Più loro pronunciavano parole più io mi chiudevo per non farmi colpire dai significati delle frasi tanto erano banali e grette. Mi sono talmente alienata che il mio amico Lorenzo mi ha chiamato più volte preoccupato che stessi male. Ma io non stavo male, soffrivo nel vedere la femminilità delle donne offesa e resa banale in quel modo. Per la prima volta nella vita ho capito il vero significato della fiaba che non e’ vivere felici e contenti, ma imparare a scegliere che tipo di donne essere prima che la vita passi. Io in quelle rughe invecchiate senza grazia ho visto la vita gretta. Mi ha talmente mortificato ciò che ho letto sui loro volti e ascoltato nelle loro bocche da dovermi definitivamente allontanare. Però da distanza di sicurezza voglio chiedere a queste due donne ciò che anche Leopardi chiese:
“ Donne, da voi non poco La patria aspetta; e non in danno e scorno
Dell’umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il foco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa; e quando il giorno Col divo carro accerchia, a voi s’inchina. Ragion di nostra etate
Io chieggio a voi. La santa
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? Attenuata e franta
Da voi nostra natura? E le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe?”
Loro non sapranno mai dare risposta, ma io lo so fare. La risposta alla tua domanda Giacomo e’: Si!

Grattarsi

Grattarsi e’ un’arte, cucciolo mio. Lo e’ perché procura estasi e tu sai bene che il godere e’ l’ingrediente principe del bello e noi orsi viviamo una vita bella. Ma al bello non si arriva per nascita ne’ per sorte, si arriva solo per esperienza. E’ per questo che devi imparare a grattarti. Tutto devi scoprire sull’argomento. Devi capire come si grattano gli orsi, ma non prima di aver stabilito che tu sei un orso. Grattarsi da scimmia può dar piacere, ma non ti porterà mai sulle vette più alte ove nascono i salmoni o nelle caverne più profonde ove sicuro e’ il letargo; al massimo stuzzicherà il tuo appetito. Devi, poi, riconoscere nella natura quali elementi sapranno rendere il grattarsi un’esperienza assai bella, non ti accontentare mai del gradevole. Se vuoi vivere da orso, infatti, il grattarti deve procurarti pura soddisfazione altrimenti continuerai a vagare in cerca di qualcosa che non hai. Poi, mio piccolo cucciolo, devi insegnare al tuo corpo a grattarsi e non sarà facile perché ogni tua parte dovrà fare proprio l’elemento sul quale si gratta adagiandosi a lui nel modo corretto e ciò significa, mio amato, che dovrai imparare a grattarlo a tua volta. Solo allora sarai principe dell’arte del grattare e solo allora potrai fare della vita, ma ancor più del letargo, un’ esperienza da estasi. Ora pero’ sbrigati a grattarti che ho visto un alveare e mi e’ venuta voglia di miele!

Sederi

Questa è una storia di sederi che è avvenuta l’altra sera sotto ai miei occhi. Il sedere protagonista era un sedere giovane rotondo, sodo, rialzato e staccato. Un sedere da fossetta in fondo alla schiena per intenderci. L’altro sedere era a lui genitore. Era senza soluzione di continuità tra schiena e coscia se lo guardavi da dietro, e pure senza soluzione di continuità tra pancia e fianco se lo guardavi dal lato. Per il resto erano identici, chiunque ne avrebbe stabilito la progenie. Il sedere giovane era agghindato in un succinto costume nero, non un tanga, ma un costume sapientemente fatto per infilarsi tra le natiche e mostrarne le singole rotondità. Il sedere madre invece era coperto da una mutanda larga e alta che metteva in evidenza tutto ciò che gli anni di pastasciutte hanno reso uniformemente informe. Eppure quei due sederi erano identici. Nel sedere sformato era iscritto il sedere rotondo e staccato e se fosse stato possibile circoscrivere il sedere figlia con il sedere madre, quest’ultimo lo avrebbe ricompreso al millimetro. Mentre il sedere giovane non riusciva a stare fermo su quell’asciugamano steso; infatti era un continuo girarsi, alzarsi, camminare, e sculettare; il sedere madre si alzava solo per provata necessità mostrando a chiunque cosa significhi in fisica la fissità. Ogni tanto i due sederi si affiancavano per parlarsi; durante uno di questi dialoghi il mio occhio ha notato l’evoluzione che il tempo ha imposto al sedere attempato e non ho potuto non esprimere il fatto che anni addietro il sedere fisso sarà stato anch’egli un bel sedere rialzato e distaccato e che probabilmente tra qualche anno il bel sedere rialzato e distaccato godrà della magnifica immobilità tronchea nel corpo di donna ormai adulta. E’ il corso della storia riferito ai sederi. Ho pensato che tra quei mondi rotondi si raccogliesse infatti la distanza della fiducia totale e assoluta nel proprio futuro e la rassegnazione che quel che si ha avuto si ha avuto; dell’idea di eterna giovinezza e della consapevolezza di essere nella parabola discendente della propria vita. Tra quei due sederi però era anche scritta la rinuncia che risolve la vita in una tavola apparecchiata e le serate davanti alla televisione. In quelle due curve tonde ho letto la storia comune a molti di ciò che è stato e che sarà. Allora ho deciso di andare a sbirciare il mio sedere per vedere se racconta la medesima evoluzione. Ma sappiate, se viene voglia di farlo anche a voi, che è tabù parlare in pubblico di sederi di donne.

Chemio 4

Il profumo del mio sangue e’ cambiato in una notte. Prima profumava di melograno, ne aveva preso il sapore un serata d’infanzia quando giocai bambina sotto ai suoi rami fioriti. Le sue piccole foglioline gli regalarono sfumature di armonia ai toni di verde. Dallo scuro burrasca al chiaro ruscello. I fiori ci misero calici lisci pieni di arancione acceso e balze spumeggianti capaci di creare ghirlande. I frutti gli donarono rotondità femmine e chicchi maschi entrambi rosso rubino. Era un sangue gruppo zero negativo, raro nel suo essere per tutti ed ancor più prezioso nel suo non poter ricevere da molti. Era, grazie al profumo di melograno, capace di cambiar a seconda della stagione. Così era caldo ed avvolgente nei lunghi inverni, frizzante e sconcertante nei sabati di primavera, placido e sensuale nelle sere d’estate e freddo e rigoroso nelle piogge d’autunno. Era sangue profumato di vita. Poi, una notte antipatica, il suo profumo al melograno e’ stato scalzato da un odore puzzolente di sostanza chimica che lo ha reso grigio e piatto e mortale. Un odore nauseabondo che tutto ha invaso. Io amavo il mio sangue al sapore di melograno così ora mi accade di svegliarmi la notte in guerra contro questo essere puzzone e killer. Mi scopro presa in battaglia a cercare di ripulirmi per sopravvivere, come una donna violata nel suo intimo; però poi ricordo che la mia sopravvivenza e’ subordinata a questa puzza chimica e sono costretta a terminare ogni battaglia e lasciare che il violentatore violenti e uccida. Mi obbligo immobile a subire. Non posso nemmeno non pensare perché’ se voglio vivere devo partecipare a questa morte con il corpo e con il pensiero. Mi rimane l’anima cui ho affidato il sapor di melograno prima che fosse sterminato. L’ho aiutata a scappare chissà dove per non farsi infettare e insozzare, le ho detto di non tornare anche se mi sente urlare. Ho dovuto recidere quell’ unione rara di corpo, mente e anima che si chiamava Sarah. Per sopravvivere ho sospeso la mia umanità , e sono diventata carne da ammazzare. Punto.

Chemio 3

Volevo provare a essere un mio amico; lui porta gioia alla mia vita, cosi’ io ho pensato di vedere come si sta nei panni di chi da gioia. Per essere lui, guidando, ho fatto una cosa che fa spessissimo: mi sono accarezzata i capelli di qua e di la’. Ho fatto esattamente come gli vedo fare, pero’ poi ci e’ scappato del mio; non ho resistito e mi sono accarezzata la cute. Mai mi sarei aspettata l’azione di tale carezza. Lei si e’ presa i miei riccioli che sono passati dalla mia testa al mio palmo. Cosi’ mi sono trovata a guidare con la capigliatura in una mano ed il volante in un’altra. La cute si e’ quindi infiammata ed io terrorizzata. Il terrore si e’ trasformato in tremito ed il tremito in pianto. Ho guidato in un vortice d’acqua che ha oscurato per potenza il temporale di ieri sera. In quel disastro d’umore mi sono rivista bambina quando mio papa’ mi pelava la testa per non farmi soffrire i caldi estivi ed ho ricordato che poi, io e lui assieme, uscivamo sul balcone a regalare i miei riccioli alle rondini per poi guardarle sistemare i nidi e rendere piu’ soffice il posto dei loro piccoli. Cosi’ ho invertito il senso di marcia, sono tornata da mamma e papa’ e assieme siamo usciti a lanciare capelli alle rondini. Il sereno e’ cosi’ ritornato.

Chemio 2

La chemio fa scherzi strani e pure un poco divertenti. Tu esci per strada come ogni giorno pensando di essere te, ma in realtà quel liquido rosso ha lavorato nelle tue vene e così, appena cammini nel sole, ti scopri vampiro! Non è che ho istinti di affondare i miei denti in carne umana, anche se, un paio di morsichi su una certa qual chiappa li darei volentieri; è che brucio come un tizzone al primo raggio di sole caldo. Fumo come nei migliori film di vampiri. So di bruciato e la gente si gira a cercare il fuoco senza sapere che è la bionda di fianco ad avvampare. Ora l’idea di diventare un vampiro potrei anche reggerla e giocarci dentro, ma il problema è che la chemio mica ti trasforma in vampiro qualsiasi, no lei ti trasforma in vampiro in cinta. Non osate avvicinare al mio naso l’amato caffè americano potrei mangiarvi per il fastidio che quell’odore mi provoca. Sono stata al supermercato e l’ho svuotato di tonno e caprino. Potrei mangiarli di seguito per un giorno intero senza fermarmi. Mi alzo la notte cercandoli perché ho voglia di loro, solo di loro, e se non ci sono divento pazza. Non ho mai sentito tanto i profumi a causa di un naso un poco mal nato; ora colgo ogni odore a distanza e mi infastidisco per la sua intensità. Sabato mi è capitato di leccare un odore, era salato e mi ha un poco schifato; poi ho pensato che stavo leccando un odore e m’è venuto alquanto da ridere perché un vampiro lecca un odore non certo un umano. Ora parliamo dei suoni; se tu lasci cadere un pezzo di legno stai pur certo che, se ti sono vicino, io salto come se fosse esplosa una bomba e ti guardo in cagnesco per il tuo atto. Quando poi si è in dolce attesa il mondo diventa bello e tu ti senti potente e perfetta per quel fagiolino che ingentilisce il tuo corpo e appiccica femminilità ad ogni tua ruga. Bene io sono nel medesimo stato di grazia. Mi vedo bellissima nel riflesso degli occhi di chi mi guarda. Se penso alla vita, lei è completa; ha un passato, un presente ed un futuro. Anzi, ora che sono vampiro e quindi la vita la vedo persona, vi dico che sembra il mio cane che dorme sazio dopo aver rubato (e mangiato) l’intero pollo dalla cucina. Allora ho pensato al senso del cancro; se la sua cura uccide un pochetto la mia umanità e mi trasforma in vampiro gestante e perfetto, la malattia che cos’è? Forse è semplicemente un gradino nel quale affondare il piede per poter partorire il meglio di me. Allora io non ti combatto, cancro, ti attraverso portandoti dentro fintanto che sarai necessario, solo allora ti partorirò. Sarà cesareo.

Chemio 1

Otto sono i gigli del mio mazzo di fiori. Il primo mi e’ stato donato oggi. Otto gigli sono la vita. E’ come partorire quando le contrazioni ti portano al tuo limite, ma tu sai che ognuna di loro ti avvicina alla creatura che porti in grembo e allora vai oltre al tuo limite. Il mio di oggi aveva la forma di uno stanzone con tante poltrone messe a semicerchio. Su ognuna di esse, accomodata, una donna guardava la nuova arrivata. Ogni poltrona ospitava occhi dallo sguardo tenero e dispiaciuto, bocche dai larghi sorrisi di benvenuto e zero capelli. Il mio sguardo le ha colte tutte d’un colpo, il mio futuro incarnato piu’ volte davanti a me. Sono morta in un secondo. Loro erano troppo e lo hanno capito. Cosi’, mentre il veleno rosso si appropriava di ogni mia cellula campione di velocità’, hanno iniziato a parlarmi. Volevano che io sapessi che in loro la vita scorreva forte, che era cosi’ profonda da far brillare tutti quegli occhi. E quegli occhi erano tutto tranne che spenti. Volevano che io sapessi che si poteva fare. Cosi’ ho ceduto ed accettato di diventare una di loro. Sette sono i gigli che mancano alla vita.

Realtà

Ti accarezzo realtà della potenza che possiedi. Giudice mi hanno marchiata per non riconoscerti i tuoi natali. Ma a me sei compagna di vita cruda e non temo il tuo nome.

Il ponte

Quante volte aveva attraversato quel ponte? Erano anni ormai; questa sarebbe stata un’ennesima di molte. Presto la mattina viveva quei momenti così particolari accompagnata dal profumo della natura e dalle nebbie del giorno che nasce. Amava mantenere i ricordi di ciò che sarebbe stato legati all’esperienza dei sensi di ciò che precedeva. Perciò, quell’alba gelida, lei si chiuse nel suo pastrano, nascose il capo sotto al cappello e si incamminò verso il giorno. Sentì strisciare i tessuti sulle foglie appassite, così per un poco lasciò il suo orecchio ascoltare quel dialogo tra trame, che montava come un crescendo e poi tornava quieto, quasi nullo. Poi fu distratta dai movimenti dei suoi piedi che schiacciando nudi le vecchie assi del ponte rendevano l’abitudine del camminare un’invenzione condotta e si perse nel modificare il suo peso per far in modo che il legno sotto di lei le restituisse tutti gli scricchiolii che conosceva. Adorava sentire l’anima di quel corpo estraneo passarle attraverso i piedi e fondersi nella sua carne. L’umidità di quella mattina invernale le appiccicava la cappa addosso imprigionandola nei suoi medesimi movimenti, così per un poco si immerse nei confini fermati da quell’abbraccio bagnato che le premeva addosso marcando la differenza tra un fisico e l’altro. Giocò ad accaparrarsi un pezzetto di aria per obbligare, come in un intimo scontro, l’altra massa a farle spazio dentro di lei. Nel lottare si accorse col naso del sapore di quell’ora rara e si fermò ad annusare profondo e lungo per fermare in un brivido fisico l’odore di vita. Perse i suoi occhi nella nebbia densa che attutiva ogni pensiero nel limbo del nulla per regalarle la libertà di sentire ogni cosa. Lei lasciò andare gli occhi smarriti e chiusi, si accarezzò i piedi, tirò su col naso e poi, cieca di idee e sazia di sensi attraversò il ponte. La c’era l’altra sponda, lei era pronta.

Remo

Mordi spizzichi di vita già vissuta pensando di sovrascrivere il vuoto che ti logora. Bugiardo a te stesso sprechi il respiro divino mentre alla tua progenie regali catene di schiavitù infinite. Io salgo su quei lacci d’oro e ballo suoni di libertà alla mia discendenza attonita. Guardami! Il mio occhio non porta trucco.